Sul piano politico italiano la sorpresa più grande del 2019 è stata, come si sa, la caduta del governo giallo-verde per mano di Salvini. Stupefacente la sua pretesa di andare alle elezioni anticipate ignorando il dettato costituzionale secondo cui le Camere non vengono sciolte se sono in grado di esprimere una maggioranza ed un presidente del Consiglio.
Questo errore sembra dar ragione ai critici dello stesso Salvini che pensano che la sua richiesta dei pieni poteri non fosse una battuta in un momento estivo di sovra eccitazione ma una vera premonizione dei suoi desideri e delle sue intenzioni.
Sul piano dei leader la sorpresa più grande è venuta da Giuseppe Conte, più che da Renzi con la scissione dal Pd ampiamente prevedibile. Emerso dal nulla in termini politici e semplice esecutore del contratto giallo-verde nel primo anno di Palazzo Chigi, ha finito man mano per rappresentare il punto di appoggio per chi non voleva le elezioni anticipate per convenienza personale, o per paura della vittoria della destra, o per il sogno di una politica diversa.
Il risultato è stato un governo traballante che ha approvato una manovra decente ma che si trova davanti alla necessità di rilegittimarsi rispetto alle severe necessità del Paese. Non aiuta la profonda crisi del M5S, largamente dovuta alla sua originaria pretesa di non essere né di destra né di sinistra, e non aiuta nemmeno il perdurante stallo del Pd dopo la gravissima sconfitta elettorale del 2018.
Difficile capire cosa potrà accadere nel 2020. La domanda vera è se il cambio del governo è fine a sé stesso oppure se indica un cambio di fase con l’avvento di un nuovo bipolarismo come sta accadendo in varie parti dell’Europa e del mondo democratico.
Si tratta di una prospettiva problematica ma senz’altro possibile. Estremamente difficile pare essere infatti il ritorno di fiamma fra la destra e i grillini. Potrebbe non risultare decisiva nemmeno l’eventuale modifica del sistema elettorale in senso proporzionale perché è probabile che gli elettori richiedano ai partiti una scelta esplicita prima delle urne favorendo la chiarezza e castigando chi voglia mantenersi in una zona grigia.
Questa ipotesi dei due poli può favorire nettamente la destra oggi più omogenea politicamente e culturalmente e penalizzare un’alternativa dai connotati ancora incerti. A meno che i grillini non scelgano senza reticenze l’alleanza con il centrosinistra come ha già fatto Giuseppe Conte. Una evenienza questa che renderebbe incerta la competizione elettorale e, per ciò stesso, ridurrebbe l’area dell’astensione.
In un tale quadro si capirebbe di più e si giustificherebbe l’atteggiamento quasi remissivo del Pd verso i grillini che, lungi dal volerli svuotare come aveva fatto Salvini, sembra a volte fin troppo comprensivo delle loro esigenze identitarie.
Affinché questo disegno riesca è però necessario che tutto il centrosinistra, nelle sue varie componenti, trovi una linea comune dicendo come vuole realizzare una maggiore giustizia sociale e smettendola con le chiacchiere generiche e inconcludenti sulle disuguaglianze. Le quali si diminuiscono, sì, con misure assistenziali ma soprattutto facendo crescere l’economia, sostenendo le imprese e attirando gli investimenti stranieri.
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