Chissà se la letterina a Gesù Bambino o a Babbo Natale, per i bambini più piccoli, sia ancora quella bella tradizione di una volta. Quando si viene a sapere che in certe scuole, per non irritare ragazzi e famiglie non di religione cristiana o cattolica, si evita anche di fare il presepio, è lecito avere qualche dubbio.
I tempi sono cambiati e la questione poi, di per sé, non è rilevantissima. Ma nel caso il buon senso e la saggezza fanno sempre aggio. A Masnago, nemmeno tanti anni fa, un esercente marocchino che gestiva un negozio di generi alimentari realizzava un bellissimo presepio sul bancone. Gli chiesero: Ma tu non sei musulmano? Sì – rispose – ma i miei clienti sono cristiani.
Tornando alle letterine di Natale, speriamo siano sempre in uso, come un tempo. Alle scuole elementari si scriveva su foglietti pieni di lustrini e illustrati con liete immagini invernali e natalizie (la neve, il Bambinello nella grotta, caminetti accesi…). Erano le nostre – le prime – esercitazioni di scrittura, vergate sotto la guida attenta della maestra. Non si trattava, per lo più, di letterine di richieste di doni, ma di annunci di promesse: sarò più buono, sarò rispettoso dei miei genitori e dei miei fratelli, e così via…
Queste cose suggeriva, tempo fa, la lettura di un libro di Ricciotti Bornia: “Quando a Varese non c’era la droga”, pubblicato nel 1996 per iniziativa dell’associazione Amici del Presepio della parrocchia di Biumo Inferiore.
Per chi non l’avesse conosciuto o addirittura non ne avesse mai sentito parlare, Ricciotti Bornia è stato un personaggio importante della Varese del dopoguerra (e anche prima…). Nato a Lugano si era trasferito giovanissimo con la famiglia nella nostra città dove, per lungo tempo, lavorò come funzionario e operatore culturale nei dopolavoro dell’Enal.
Se n’è andato tre anni fa alla veneranda età di 104 anni. Era ricoverato al Molina, sempre lucidissimo, non prima di avere scritto un sequel di volumetti dedicati alla città di Varese e ai suoi ricordi: “Quando a Varese c’erano i tram…”, “Da Biumo al Reno”, “Storie varesine del buon tempo antico”…
Il signor Ricciotti è stato sempre prodigo di notizie e di curiosità varesine con i cronisti. Era lui l’informatore principe della brava giornalista Anna Maria Gandini, già corrispondente del Corriere della Sera e della Rai, che per la Prealpina, una trentina di anni fa, curava una rubrica intitolata Cara Varese, la stessa “testatina” ripresa da un altro famoso personaggio del giornalismo locale – Pier Fausto Vedani – per il nostro settimanale on-line.
In uno dei suoi libri Ricciotti Bornia racconta di un concorso tra bimbi (e scuole) per la più bella letterina di Natale, organizzato, allora, dalla direzione provinciale dell’Enal.
Siamo a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, quindi gli autori quelle letterine hanno ormai abbondantemente superato il mezzo secolo di età.
Ne citiamo due. La prima di una bimba di nove anni: “Il mio cuore di bambina soffre molto, quando penso che il babbo è rinchiuso in una cella piena di tristezza… Così ti prego, caro Gesù Bambino, di farmi la grazia di liberarlo da quelle sbarre maledette, di farlo ritornare un bravo e libero cittadino per poterlo presto riabbracciare”.
E la seconda, ancora attuale in un contesto di No-Vax, di diffuse polemiche…“Caro Gesù Bambino, sai cos’è la poliomielite? Certamente la Tua mamma te ne avrà parlato e Ti avrà detto che è un male terribile. Da questo è stato colpito il mio fratellino. Perché caro Gesù non trovi Tu la medicina che possa guarirlo? I medici di tutto il mondo hanno studiato tanto ma non sono riusciti a trovare la medicina adatta. Il mio fratellino ha due anni e non parla e non cammina, non si regge: grida soltanto… Il giorno della Tua festa perché non vai al suo ospedale a portargli la medicina? Non andare solo però perché ci sono tante macchine a Varese e Tu così piccolo; fatti accompagnare da un Angioletto…”.
Gesù Bambino lesse le letterine e andò in soccorso di tutti i bambini che sarebbero stati potuti colpire dalla polio. Negli anni Cinquanta e nei primi Sessanta due medici di origine ebrea askenazita emigrati negli Usa elaborarono i primi vaccini antipolio: quello di Jonas Salk, iniettabile, e quello di Albert Sabin, più famoso e conosciuto, da assumere per via orale con uno zuccherino… Grazie a loro la terribile malattia fu pressoché debellata nel mondo.
Albert Sabin non brevettò mai la sua “invenzione” e rinunciò dunque nel suo sfruttamento commerciale. Ne fece dono all’umanità. Jonas Salk e Albert Sabin ricevettero molti riconoscimenti per le loro scoperte ma non furono mai insigniti del Premio Nobel per la medicina.
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