Nell’anno scolastico 2018-2019, un Concorso nazionale di componimenti sul tema «io e i miei nonni: esperienze e riflessioni» è stato promosso nelle scuole italiane dall’Associazione Nonni2.0. Fondata a Milano nel 2014, l’Associazione si legge nel suo Manifesto, è nata per rimettere appunto in valore la funzione educativa e sociale delle nonne e dei nonni che, in un’epoca di “fragilità psicologica diffusa” come la nostra, con la loro stessa presenza testimoniano ai nipoti la capacità dell’uomo di superare le difficoltà della vita (…). E che sono “più che mai chiamati a essere nella società attivi testimoni delle virtù e delle esperienze che, alla prova del tempo e della vita, si sono dimostrate utili e valide per affrontare le sfide personali e sociali del tempo presente”.
Il concorso ha avuto un successo sorprendente: vi hanno preso parte 2414 allievi di circa duecento scuole — oltre 60 elementari, oltre 80 medie, circa 40 superiori — di ogni regione italiana, per lo più statali (oltre a un certo numero di scuole paritarie e di scuole parentali). Ci sono fatti inattesi che consentono di scoprire realtà rilevanti, eppure sin qui non percepite. Il sorprendente successo di tale concorso è certamente uno di questi.
La giuria, presieduta dal poeta e scrittore Davide Rondoni, si è trovata di fronte a una quantità di testi ben scritti e non di rado commoventi, testimonianza di un’Italia assai diversa da quella che troppo spesso ci viene raccontata dai giornali e dai telegiornali. A conclusione del concorso è sembrato perciò opportuno raccogliere in un volume, rendendoli così accessibili a un più vasto pubblico, i componimenti premiati e un’antologia di stralci di quelli segnalati.
Pubblicato dalle Edizioni Ares, il libro, dal titolo Nonni2.0 / Storie di nonne, nonni & nipoti, si apre con un testo introduttivo, redatto da Eugenia Scabini e Giovanna Rossi, studiose e docenti universitarie emerite di sociologia della famiglia, e da me. “Diventa sempre più importante rendersi conto”, ricordiamo fra l’altro in quelle pagine, ”che gli oltre 14 milioni di persone di età superiore ai 65 anni che oggi vivono in Italia, anche se inevitabilmente domandano nell’insieme più assistenza medica e sociale delle persone di età media, in via principale non sono un problema; e nemmeno dei semplici “babysitter” che non costano nulla. Sono invece e innanzi tutto una risorsa non soltanto sociale ed educativa (oltre che economica), ma pure culturale nel più ampio significato della parola. Ciò in forza non solo della cultura dei libri ma anche di quella cultura della vita in cui ogni anziano è esperto quali che siano stati gli studi della sua gioventù e i ruoli ricoperti nei suoi anni di lavoro.
La presenza attiva dei più anziani, custodi della memoria, nella vita pubblica del Paese è perciò una risorsa importante non solo per i loro nipoti ma per tutti”(…). La loro funzione non è infatti solo educativa ma anche specificamente culturale. Sono chiamati a compiere una «mediazione generazionale». Devono cioè mediare tra il passato e il futuro dando senso alla tradizione in modo da renderla ricevibile e trasmissibile alle generazioni successive. È un compito importante: la tradizione infatti è al cuore dell’identità della persona e il suo misconoscimento toglie, per così dire, un pezzo al proprio consistere; un pezzo che per giunta sta all’origine.
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