Il tema dell’autonomia regionale nei termini previsti in Costituzione fin dal 2001 è tornato di attualità un paio di settimane fa con una clamorosa novità poco nota perché soffocata dalle polemiche sul fondo salva-Stati e sulla manovra finanziaria. Eppure è un tema che merita di essere conosciuto e seriamente discusso.
La ripresa di attenzione era avvenuta con le richieste di maggiore autonomia dell’Emilia Romagna, del Veneto e della Lombardia, queste ultime due attraverso un referendum popolare. Il governo giallo-verde tentando di dare delle risposte aveva imboccato un vicolo cieco in quanto la Lega pretendeva delle soluzioni avventate che molti territori avrebbero aspramente osteggiato.
Fra queste richieste cito soltanto la più nota e impraticabile sull’autonomia scolastica. Fanno eccezione in questo campo l’istruzione professionale (già di competenza regionale) e le modalità organizzative della scuola pubblica. Fatto sta che su questo e su altri scogli la riforma si era arrestata senza possibilità di sbocchi.
Questo governo con il ministro Francesco Boccia, un pugliese con una lunga esperienza di docente universitario in Lombardia, ha lavorato a fari spenti per qualche mese e il 28 novembre la Conferenza Stato-Regioni ha approvato una bozza di legge quadro da sottoporre al governo e al Parlamento. La novità eclatante consiste nel fatto che ha ottenuto l’approvazione di tutte le Regioni Ordinarie e Speciali del Nord, del Centro e del Sud.
Il giorno dopo i Cinquestelle si sono però affrettati a dichiarare la loro contrarietà al disegno di legge che, mi auguro, sia solo sui tempi dell’approvazione in Parlamento e non sulla sua impostazione. La speranza si fonda sul fatto che Di Maio più di una volta aveva dichiarato la volontà del suo Movimento di procedere finalmente alla realizzazione del dettato costituzionale.
Perché l’unanimità della Conferenza Stato-Regioni su un tema che a tratti aveva infiammato polemicamente i partiti, le Istituzioni territoriali, le forze sociali e gli elettori nei due referendum tenuti? Senza entrare nel merito tecnico, appare chiaro che il motivo sta nel fatto che sono state messe da parte le pretese eccessive di Veneto e Lombardia, che sono state tenute in considerazione le volontà delle altre Regioni, che il progetto è improntato al principio di sussidiarietà il quale chiama in causa innanzitutto le città metropolitane.
Erano due i rischi paventati nell’attuazione del principio costituzionale: il primo era quello di dividere ancora di più il Paese fra aree ricche e povere. Il secondo di rafforzare la tendenza al neo-centralismo regionale che anche in Lombardia era ed è fortemente sentito e temuto.
Le soluzioni trovate, semplificando un poco, sono state: 1) la pratica della sussidiarietà secondo la quale l’Istituzione più grande non deve far ciò che può fare bene quella più piccola, vale a dire città ed Enti locali. 2) l’affermazione del concetto della perequazione finanziaria che ha tranquillizzato le Regioni più deboli. 3) la decisione di concordare insieme, entro un tempo ragionevole, i livelli essenziali delle prestazioni soprattutto, nel campo socio-sanitario.
Nell’attuale difficile fase del regionalismo l’attuazione dell’autonomia differenziata potrebbe davvero essere la spinta per riprendere una strada virtuosa a beneficio di tutta la collettività dando respiro alle “locomotive” del Nord ed aiutando il Sud a liberarsi dal soffocante centralismo romano sia politico che burocratico.
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