Un gesto generoso, frutto di un alto senso civico, e un acquisto importante. Lo ha sottolineato il sindaco di Varese Davide Galimberti a proposito di una rara donazione entrata nel patrimonio archeologico di Villa Mirabello il 5 dicembre scorso, grazie alla volontà della famiglia Tavernari. In nome e in ricordo dei genitori Piera e Vittorio, musicista raffinata la prima, artista e soprattutto scultore di fama internazionale il secondo.
La figlia Carla e il figlio Giovanni, chiudendo un itinerario apertosi colloquiando con Daria Banchieri, hanno fatto omaggio al civico museo archeologico della città di una antica testa in marmo pario scambiata con un proprio lavoro da Vittorio, negli anni ‘60, con il collezionista milanese Bruno Lorenzelli di corso Buenos Aires.
La testa che tanto aveva colpito l’artista era stata rifiutata dagli Industriali bergamaschi perché mancava il naso, laddove era invece presente una visibile, misteriosa bruciatura.
“Da allora – ha spiegato Carla Tavernari in occasione della presentazione- la testa fu sempre in casa nostra come oggetto artistico a noi molto caro. Frugando tra le carte di papà trovammo poi dopo la sua morte uno scritto con l’espressa volontà di donarla a una scuola scultorea milanese.
Qui papà aveva conosciuto e frequentato alcuni artisti come Birolli, Cassinari e altri. Impossibilitati però a eseguire la sua volontà per la cessazione di quella grande scuola, diventata come scoprimmo una piccola scuola professionale, abbiamo ritenuto più giusto donarla alla città nella quale papà e mamma si conobbero e convolarono a nozze nel 1944, rimanendovi per sempre”.
Le ricerche fatte da Carla e dalla famiglia non hanno portato alla scoperta di informazioni eventuali su quest’opera d’arte. Si potrebbe pensare a una testa di Afrodite, ma è ancora notizia tutta da verificare, da ritenersi realizzata attorno al IV secolo a. C. tra Scopa e Prassitele, come ipotizzava Vittorio Tavernari.
La conservatrice del Museo Barbara Cermesoni e la rappresentante della Soprintendenza Alice Sbriglio hanno promesso che saranno fatte accurate indagini per capire l’esatta provenienza della scultura. A occuparsene, la conservatrice ha chiamato Claudia Lambrugo, docente di archeologia dell’Università di Milano ed esperta di arte greca classica.
L’interessante capigliatura della testa potrebbe essere elemento fondamentale, ha fatto sapere Lambrugo, nel dare un’esatta interpretazione e collocazione temporale. Se sia davvero un’Afrodite di epoca tardo classica lo potranno dire solo approfonditi studi.
Fin qui le informazioni spicciole di cronaca. Il fatto che maggiormente colpisce è però la rappresentazione della continuità di interesse e di amore di una famiglia, a partire dal suo noto capostipite -artista di fama internazionale, caro ai critici Arcangeli e Janou- per un territorio al quale lui ha portato e donato copiosi frutti della sua buona arte. Tradotti praticamente in più donazioni, distribuite nel territorio, e pure in frequentazioni e contatti di altissimo livello anche internazionale, che hanno sicuramente dato fama alla terra scelta da Tavernari per vivere e lavorare.
Negli studi di via Milano e poi di Barasso egli assecondava la sua arte, la sua sete di conoscenza e quel perenne scavo in se stesso, ben sapendo che la ricerca d’artista poteva contribuire a saziare non solo la sua voglia di sapere, ma anche quella di tante altre persone desiderose a loro volta di avvicinarsi alla bellezza. Il tempo era quello degli anni Sessanta e Settanta, gli amici erano Chiara, Isella, Bortoluzzi e i patron figure come Giovanni Borghi. A proposito di quest’ultimo, si inaugurerà in questi giorni in quel di Comerio un nuovo evento, capace di raccontare quanto Tavernari fosse vicino, richiesto e stimato anche nell’ambito del mondo imprenditoriale che fece ricco e avanzato il nostro territorio in quegli stessi anni. E quanto Borghi fosse un suo grande ammiratore.
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