La sera scendeva precocemente. La nebbia aveva avvolto la città che per sua natura è malinconica. Nella luce livida tremolavano le luminarie, le ghirlande. L’abete era una miriade di luci. La piazza era inondata da piccole casette di legno. I commessi allestivano sfavillanti vetrine.
Arriveranno tra poco i falsi Babbi Natale, gli zampognari con le loro dolenti note, la musica trasmessa dagli altoparlanti. E poi verranno le cene dove ci si abbufferà di cibo, ma non delle parole di chi ci sta a fianco. E ogni scuola avrà il suo concertino. E ogni associazione il suo mercatino.
È Natale: ognuno è preso dalla frenesia. Si va alla ricerca del dono, che è una dolce offerta d’amore, ma spesso fonte di corruzione; si addobba la casa perché anch’essa fa parte della messinscena, si allestiscono l’albero di Natale e il presepio perché (non si sa mai!) qualcuno non possa accusare il vicino di essersi convertito all’islam.
La città è un tripudio di luci, di auguri, di mondani arrivismi. È Natale, ma di chi? Di Gesù, rispondono i credenti.
A dire il vero, i cristiani hanno cominciato a fare memoria del Natale di Gesù, nato a Betlemme da una donna vergine in un ben determinato periodo storico, come racconta Luca nel suo Vangelo, solo a partire dal IV secolo. I primi cristiani festeggiavano unicamente la Pasqua di Resurrezione e ogni sette giorni la celebriamo anche noi oggi. Il Natale di Gesù è già avvenuto. Ora i cristiani fanno memoria di quell’evento unico. “Come” Dio è entrato nella storia degli uomini? Si è fatto uomo. Come è stato accolto e come si è presentato alle donne e agli uomini del suo tempo?
È la domanda cui dà risposta il Vangelo che sentiremo proclamare domenica. Gesù entra a Gerusalemme, nella città, a dorso di un’asina, non cavalcando un bel destriero bianco come fanno i personaggi importanti. Non è un uomo forte: il suo ingresso nella città è quello di un semplice servo, pacifico e mite. Non ama il trionfalismo, la pomposità, il fasto. Accetta l’omaggio della folla che stende al suo passaggio i propri mantelli e rami di palme, ma non parla né lancia proclami. Passa in mezzo alla folla che lo applaude – e sarà la stessa che dopo pochi giorni lo condannerà a morte – e c’è chi gli va dietro perché Gesù è meglio seguirlo che soffocarlo con le grida.
Come la folla accoglie Gesù, oggi? La maggior parte non condivide la sua presenza, non percepisce più il suo battito del cuore e, soprattutto, non capta più il pulsare silenzioso e anonimo di chi gli sta accanto.
Eppure Egli è qui tra noi proprio come il primo giorno. Vive come noi nella nostra città, tra le nostre case, nel mondo dei mercati e degli affari, nelle imprese e nelle scuole, negli ospedali, cammina sulle nostre strade. Ma “come” lo si vede? Anzitutto attraverso la presenza dei credenti in Lui, ma si nasconde anche nell’indifeso, nello straniero, nel vicino di casa a cui non si rivolge la parola: a costoro ci comanda di “farci prossimo” e di voler essere al loro servizio, come voce ultima che, anche nel rifiorire dell’odio, non ama tenere un tono servile.
Gesù non ama i trionfi di chi difende la sua Parola fino a farne un motivo di scontro con chi non crede. Ama perfino le incomprensioni: uno che esce dalla chiesa potrà testimoniare sé stesso, ma testimoniare il proprio io è la stessa cosa che testimoniare la Verità? Il nostro cardinal Martini era solito dire:” Uno che va a messa è credibile, ma uno che si china sulle ferite degli esclusi è credente!”
Le nostre città si stanno sempre più arroccando dentro le loro mura. Mancano di relazioni vere, autentiche, capaci di dare un’anima alla città. Non ci si apre più al dolore dell’altro e non lo si abita in una stanza del nostro cuore. Ci si isola per difendere i propri interessi privati, intrecciandoli in modo inestricabile con le altre radici dell’infelicità.
La solitudine dilaga nell’anziano e con essa il senso dell’inutilità, si alligna nel giovane che cerca la felicità nella droga, in chi fallisce dopo un sogno d’amore, in chi si illude che il divertimento del venerdì sera possa riempire il vuoto, in chi è colpito dalla depressione a causa delle disuguaglianze sociali.
C’è chi è sicuro di trovare la felicità nel conquistare a tutti i costi il comando della politica. Anche la sincera contrapposizione politica è divenuta motivo di scontro tra asprezze e incomprensioni e per affermare il proprio potere si giunge a distorcere la verità. L’ispirazione religiosa non anima più una politica senza interessi personali, senza compromessi e ossequi verso i potenti.
Tutto è ridotto a pensiero calcolante, votato all’utile e al consumo e molti si allontanano dallo sguardo dell’altro che chiede di essere riconosciuto.
Per rendere una città viva, costruita su misura dell’uomo, luoghi di vita, di lavoro, di relazioni, di amore, di crescita, di gioia, di dolori, di cultura, di emozioni, di preghiera nei diversi culti, Giovanni Maria Flick, ricordando Carlo Maria Martini, ha indicato tre strade.
L’accoglienza. Tutti nella città siamo chiamati a cogliere il gemito dell’umanità tribolata, a cooperare per rendere possibile la coabitazione tra uomini e donne differenti, tra giovani ed anziani, perfino tra persone della stessa famiglia. Le nostre città sono ormai multietniche e multireligiose e, se non vogliamo precipitare in un vortice inarrestabile di conflitti e di tensioni dobbiamo imparare l’arte del convivere, dello stare assieme, rispettando le diversità. Insomma, è quanto mai urgente un sussulto di umanità per venire incontro ai tanti che vivono nel disagio.
Curare le fragilità dell’uomo. Il che significa fratellanza, solidarietà, per taluni espiazione per i torti fatti subire agli innocenti. Viviamo in un’epoca in cui tutti desiderano essere perfetti. Eppure sono molti i feriti del cuore a causa della miseria, della mancanza di lavoro, della malinconia. C’è bisogno di vicinanza che cura, che sostiene nella debolezza, della compassione che parla e guarisce.
La giustizia. Il numero esorbitante di persone detenute in attesa di giudizio, le pene eccessivamente severe per i ladri di polli e la prescrizione per i ladri di favolose risorse rendono il cittadino ostile verso lo stato democratico. È la giustizia “ingiusta” che produce effetti devastanti.
Gesù, entrando nella Gerusalemme terrestre, entra anche nella storia. E in Lui che l’uomo viene liberato per essere veramente uomo. Il cristiano è sfidato a farsi protagonista della storia per partecipare alla costruzione della città. Non è necessario che tenti di verniciare questo suo impegno con uno strato di religiosità. Non è una pia pratica che fa del cristiano ciò che deve essere, ma la sua partecipazione al dolore di Cristo per un mondo disumano. Ciò che caratterizza l’uomo è questo “uscire da sé” per perdersi nell’altro.
You must be logged in to post a comment Login