Ormai ci sono due Movimenti Cinque Stelle, quello di Di Maio e quello di Conte. Il primo che mina la governabilità, il secondo che la persegue. Uno che guarda a destra, l’altro a sinistra. C’è l’ala nostalgica del salvinismo, e l’ala che non ne vuole più sentir cenno. Fin quando può durare una simile grottesca/sciagurata situazione? Fin quando il Pd non riterrà che vale staccare la spina e succeda ciò che deve o può: il ritorno al voto oppure la ricomposizione d’una diversa alleanza di governo.
Non è detto che una crisi porti in automatico alle urne. Se Di Maio venisse messo di fronte all’aut aut, o la pianta di sabotare l’esecutivo o se ne va; e qualora scegliesse di filarsela, lasciando il premier senz’apparente sostegno parlamentare, potrebbe accadere l’improbabile, ma non l’impossibile. Cioè che Conte trovi comunque i voti per continuare, perché almeno una metà dell’M5S non è in sintonia con Di Maio, e perché l’esercito dei salvatori del proprio scranno alla Camera e al Senato verrebbe in aiuto di chi s’impegna a garantirglielo sino al 2023.
Di Maio tira la corda sicuro di trovare spazio a destra, nel caso in cui la corda si spezzasse. Si sbaglia di grosso, peccando di superficialità e presunzione. A destra non han bisogno di lui, Salvini che conserva il suo favore popolare, la Meloni che lo aumenta e Berlusconi che una minima quota-parte séguita a garantirla, bastano e avanzano per fare squadra. Forte squadra. Che necessità avrebbero di tenersi al fianco il ministro degli Estri, un fantasioso Di Maio che cambia le idee come fossero la biancheria? Nessuna, proprio nessuna.
Questa è la forza che perfino un debole Pd capisce di possedere. E dunque, pur sacrificandosi in nome del bene nazionale, Zingaretti aspetta il momento giusto per dire basta. Perché giusto? Perché al partner pentastellato, allo scoccare dell’ora segnata dal cestino (ovvero del ‘buttiamo via tutto’), dichiarerà: se dài serie garanzie di collaborazione, okay si va avanti. Se no, tanti saluti e nessun augurio. S’aggancino pure i Cinquestelle al traino estremo d’un Di Maio dibattistizzato, e giudichino gl’italiani se ci si può fidare di gente così. Ora, è vero che molti di loro ne trarrebbero volentieri spunto per dare/ridare fiducia a Salvini e al suo giro; ma è altrettanto vero che molti, avendone le tasche piene dei ‘capriolisti’, altrettanto volentieri farebbero la scelta opposta. Privilegiando, spinti dal movimentismo popolare che infiamma le piazze di tutt’Italia e rimotiverà gli astensionisti, un’alleanza politica fortemente contraria al ‘sovranismo un tanto al grido’.
Insomma: il Pd va ritenuto oggi meno perdente-sicuro di quanto non lo fosse ieri. Non va inoltre dimenticato che il ‘contismo’ sarebbe un movimento di partenariato nient’affatto secondario, e se ad esso s’aggiungessero (come si aggiungeranno) i suffragi dei manipoli di Renzi, di Calenda e di un’area centrista/cattolica articolata in diverse formazioni, la partita apparirebbe giocabile. Certo, la destra gode e continuerà a godere del favore dei pronostici, ma la sinistra -senza la zavorra perdente del grillismo contorsionistico alla Di Maio e invece sostenuta dal grillismo ribellistico a una tale deriva- non partirà con la certezza della sconfitta. Un buon argomento di riflessione, prima di dimettersi dall’attuale Parlamento: i peones, nella loro umile tensione al pasto di lavoro, lo masticano e rimasticano ormai ogni giorno. È ancora presto per dirsi: andiamo in pace, la mensa è finita.
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