Tra un mese, quando spegnerà ottantaquattro candeline, festeggerà il suo primo compleanno senza scrivere. Antonio Costantini, il decano dei giornalisti del VCO e vera e propria istituzione del giornalismo del Lago Maggiore, la sua scelta l’ha compiuta lo scorso dicembre. Ha detto basta e, con quella determinazione – una pervicace cocciutaggine – che gli è propria e che tutti gli riconosciamo, ha fissato la scadenza. Prima di Capodanno ha telefonato ai colleghi e agli amici più vicini informandoli che avrebbe smesso. Doveva essere una semplice comunicazione, ma l’emozione l’ha trattenuta a stento perché è difficile cancellare quasi settant’anni di passione, di cui almeno cinquanta di onorata professione.
Antonio Costantini nasce a Luino tra le due guerre. È un adolescente del Ventennio in una famiglia antifascista che attorno al ’45 s’avvicina al giornalismo. Lascia il Ginnasio a Varese per collaborare col settimanale Gioventù Luinese, pubblicazione semiclandestina filo-socialista ispirata dall’avvocato Attilio Spozio. Verga anche le pagine del Corriere del Verbano, ma per lui la svolta arriva nel 1960, attraversando il Lago Maggiore. A Verbania l’attende l’incarico di corrispondente della Stampa, del suo gemello Stampa Sera, della Rai e dell’agenzia Ansa. L’anno successivo l’Ordine dei giornalisti del Piemonte lo iscrive nell’elenco dei pubblicisti assegnandoli la tessera n° 48 (oggi siamo vicini a seimila!). Nel 1973 è promosso redattore ordinario della Stampa, che lascia nel 1992 con la ristrutturazione dell’azienda e la chiusura di Stampa Sera.
Di smettere, però, non se ne parla. Costantini prosegue con l’Ansa – è stato l’ultimo, fino a un paio d’anni fa, a inviare le notizie via fax dopo averle battute a macchina – e inizia con La Prealpina. Nel 2011, cinquantesimo d’iscrizione all’albo (celebrato dal presidente dell’Ordine nella redazione verbanese della Stampa), ha pensato fosse l’ora di farsi da parte.
Scarne note biografiche sono del tutto insufficienti a riassumere il significato e il valore dei cinquant’anni del giornalista Costantini, che ha vissuto e raccontato la nostra storia. Nei suoi articoli ritroviamo il boom economico e l’ascesa delle grandi fabbriche fino al loro declino e alla deindustrializzazione; leggiamo delle lotte politiche sfociate nel compromesso storico, del pentapartito e dell’addio alla prima repubblica. Sullo sfondo di questi grandi eventi, raccontati – talvolta anche da prospettive un po’ di parte, perché erano anni di grandi fermenti e contrapposizioni – nei loro riverberi di provincia, si muovono centinaia di storie di paese, di fatti di cronaca piccoli e grandi dei quali s’è spesso persa la memoria.
Gli aneddoti del furto eclatante, dell’amante dell’uomo potente, del processo curioso sono gustosi non meno della storia del giornalismo raccontata da Costantini. Un giornalismo, rigorosamente su carta stampata, che ignorava la privacy – i malati o i feriti s’intervistavano in ospedale – che non temeva querele, che faceva davvero opinione, che a volte diventava l’agone della lotta politica, che vedeva l’uomo-giornalista al centro del sistema. Un giornalismo anche faticoso perché a-tecnologico, con le comunicazioni ordinarie ridotte alla dettatura al dimafonista, al telegramma, alla posta ordinaria e al “fuori sacco”, magari spedito con l’ultimo treno o traghetto in partenza. Erano i tempi della linotype, della stampa a caldo con le lettere di piombo, oggi sostituite dai computer e dalla composizione a freddo. Quel “freddo” che pervade forse il giornalismo moderno in antitesi al “caldo” di quei giornalisti vecchio stampo alla Costantini, la cui qualità principale era la passione. Probabilmente oggi ci sono professionisti più preparati di lui, ma in quanto a suole consumate (perché, oltretutto, Antonio non ha mai avuto la patente), sfacchinate e levatacce per una breve di cronaca non c’è paragone.
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