(S) A proposito di DIS-ASTRI, solo una buona stella ha impedito il ripetersi di una seconda tragedia-Morandi sull’autostrada Torino- Savona. Dunque ci sono ragioni di speranza anche nel caso?
(C)Senza dubbio. Tutto il materialismo scientifico e filosofico cerca da millenni (ricordate il clinamen di Epicuro e Lucrezio? Per arrivare a Darwin) di dimostrare che ogni bene possibile deriva da esso e non da una provvidenza che ordini la realtà al bene. Ma persino don Giussani scrisse che la parola GRAZIA è vicina alla parola CASO. Per questa ragione persevero nella speranza, nonostante il susseguirsi di dis-astri, apparentemente tutti imputabili all’uomo, che il male non sia l’ultima parola sull’uomo e sul mondo. Se questo, invece, fosse vero, dovremmo arrenderci ad un pessimismo cosmico e antropologico da far impallidire Leopardi, Schopenhauer e Nietzsche messi insieme. Se volessimo cercare le prove di malvagità connaturale della natura umana, ne troveremmo a bizzeffe. Anzi ne troviamo effettivamente. Ma il sospetto che in ogni azione, in ogni moto della volontà, si annidi un disegno egoistico e malvagio, non è il principio della cura, ma una conseguenza e un aggravamento del male stesso.
(O) Spiegati meglio, ci butti addosso il tuo paradosso fin dalle prime righe.
(C) I maestri del sospetto non sono più i filosofi più raffinati, che tuttavia tentavano anche di proporre qualche terapia, ma stanno in mezzo al popolo, scrivono sui giornali o, preferibilmente, sui social media. Ecco qualche esempio. Il primo l’ho recuperato qualche giorno fa dalla rassegna stampa del Corriere, che cito integralmente:
“I contadini francesi disprezzati da verdi e «cittadini».
«Il discredito agricolo», titola Le Monde una lunga inchiesta di Raphaëlle Rérolle sul disagio degli agricoltori francesi. Che si dicono vittime dell’agribashing, ovvero del disprezzo, per il lavoro che fanno, da parte di ambientalisti e cittadini, che li considerano avvelenatori del popolo e del pianeta, torturatori di animali e perturbatori della quiete pubblica (o, almeno, dei villeggianti). Insulti, minacce, incursioni di sedicenti «eco guerrieri». Come sintetizza Anne-Marie Denis, della Fédération départementale des syndicats d’exploitants agricoles, «gli allevatori hanno paura di notte, gli altri di giorno». Di notte avvengono le incursioni per filmare veri o presunti maltrattamenti, o addirittura per incendiare capannoni pronti per accogliere pulcini o altro. Di giorno, invece, gli agricoltori si vedono insultati o minacciati dai vicini, dai turisti o dagli automobilisti, quando spruzzano pesticidi o concime.
Città e campagna sono mondi che hanno smesso di capirsi. «Due o tre generazioni fa — racconta a Le Monde un allevatore di Beaulieu — tutti avevano radici in campagna. Oggi non più. Noi lavoriamo con il vivente, il che implica un contatto con la morte, ma anche con i rumori, con gli odori. Poi ci vediamo arrivare gente che non ha alcun legame con il vivente. Né la minima idea di come lavoriamo. Non abbiamo più un linguaggio comune».
Eppure, sottolinea Le Monde nel suo editoriale «una mutazione è in corso: il 20% degli agricoltori sono passati al biologico, le filiere corte si sviluppano. Gli ecologisti giudicano il movimento troppo lento: hanno ragione. Ma non è mettendo sotto accusa gli agricoltori che la causa farà passi avanti significativi». Proprio adesso, che agricoltori e allevatori sono sempre meno (erano il 35% della popolazione attiva francese nel 1946, sono il 2% oggi), «la questione non è di far loro la guerra, è di confortarli nella mutazione in corso».
È una sorta di ‘intellettuali con l’elmetto’, che rifiuto. Più o meno sullo stesso registro trovo una notizia che arriva anch’essa dalla Francia, individuata e sintetizzata dallo stesso recensore (Luca Angelini), questa volta dal conservatore Le Figaro:
“La carne sintetica è alle porte e la Francia rurale alza gli steccati. Stando ai più ottimisti, la carne sintetica, o di laboratorio, in vitro, o 2.0, fate voi, potrebbe arrivare sulle tavole già nel 2023. Al momento, i costi sono ancora proibitivi (e il gusto ancora approssimativo, a detta di chi l’ha assaggiata). Ma se il primo hamburger di laboratorio, nel 2013, era costato 250 mila euro, oggi saremmo già a 50 euro l’uno. Ancora troppo, ma abbastanza per far drizzare i capelli ad allevatori e macellai francesi, come testimonia l’inchiesta che pubblica Le Figaro.
«È la tappa finale di un sistema che vuole eliminare l’allevamento contadino» per favorire «l’industria delle produzioni animali» dice Jocelyne Porcher, sociologa, zootecnica e direttrice della ricerca all’Institut national de la recherche agronomique. Alla carne 2.0, per Porcher, si arriverà in fretta («gente come Bill Gates, che investe milioni di dollari nella carne in vitro non intende aspettare 10 o 15 anni prima di incassare i benefici degli investimenti»), grazie a «una collusione d’interessi tra scienza, industria alimentare e difensori della causa animale». A questi ultimi obietta che «promuovere un’agricoltura senza allevamento vuol dire rimettere in causa 10 mila anni di addomesticamento degli animali e il posto degli animali e dell’uomo nella catena alimentare». Detto in modo più filosofico, «viviamo con gli animali per molto più che per la produzione di cibo. Ci costruiscono come esseri umani in una relazione incarnata con il nostro ambiente».
Eppure, spiega il giornalista Eric de La Chesnais, proprio il ridotto impatto ambientale, assieme alla possibilità di far fronte a una richiesta crescente di carne nel mondo e alla riduzione drastica delle macellazioni (eccezion fatta per i capi da cui prelevare le cellule e il siero fetale di vitello per la coltivazione in vitro) è uno dei vantaggi chiave della carne 2.0. Non stupisce che, tra i più favorevoli, ci sia Sébastien Arsac, cofondatore dell’associazione antispecista L214, il quale ricorda che «ogni anno nel mondo si uccidono 67 miliardi di animali terrestri, un miliardo dei quali nella sola Francia».
Porcher, però, spiega che la morte degli allevatori sarebbe anche quella degli animali allevati e conclude: «So che la nostra società cerca di non vedere questa realtà, ma la morte fa parte della vita».
(O) Se ben ti conosco, stai ribattendo un tuo chiodo fisso: l’innovazione non serve a migliorare la condizione dei singoli e dei popoli, ma a imporre nuovi prodotti che garantiscono margini più ampi agli investitori.
(C) Questo è certamente un disegno di fondo della finanza e della politica ad essa più vicina, che ama definirsi progressista. Ma voglio portarvi un altro esempio, proveniente dalla stessa fonte:
“Come il papà di Internet vorrebbe fa rinascere la sua creatura (che l’ha deluso più di un po’). «Speravo che a 30 anni dalla sua creazione, avremmo usato la Rete con lo scopo principale di servire l’umanità». Sperava, Tim Berners-Lee, creatore del World Wide Web, ma è andata diversamente: «Le comunità vengono fatte a pezzi mentre circolano pregiudizio, odio e disinformazione. I truffatori usano la Rete per rubare identità altrui, gli stalker per molestare e intimidire le loro vittime e i malintenzionati sovvertono la democrazia usando tattiche digitali intelligenti. Siamo a un punto di non ritorno. Il modo in cui rispondiamo a questo abuso determinerà se il Web è all’altezza del suo potenziale come forza globale per il bene o ci porterà in una distopia digitale», ha scritto sul New York Times. Come tornare indietro e scrivere una storia migliore? Berners-Lee ci ha lavorato per un anno con la sua Web Foundation e attivisti, accademici e attori del settore. La risposta è un ‘Contatto che propone a a tre i destinatari: i governi, le aziende e i cittadini e consiste in nove punti: dalla garanzia che tutti possano connettersi al rispetto della privacy. Dallo sviluppo di tecnologie che esaltino il meglio dell’umanità, e non il peggio (gli algoritmi, invece, tendono a premiare quello che colpisce, sconvolge, genera grande gioia e partecipazione emotiva ma anche e soprattutto grande rabbia); alla militanza per rendere Internet un posto migliore.
Di buono c’è che i punti corrispondono a ulteriori indicazioni ed è un piacere leggerli, come quella sulla velocità di upload/download, che deve essere simmetrica per non trasformare Internet in una grossa televisione in cui ci limitiamo a fruire dei contenuti senza crearne. O quella che consiglia una diversificazione nella forza lavoro che sviluppa le tecnologie, così da soddisfare le esigenze di tutti, minoranze comprese. Berners-Lee fa anche una proposta concreta sulla pubblicità politica mirata: siano i governi a vietarla, dice sul Nyt, ma non lo scrive nel Contratto, dove si limita a invitare i privati a una maggiore trasparenza.
Basterà? Anzi, servirà? I governi di Francia e Germania hanno già aderito, così come Google, Facebook, Microsoft e altri. L’impegno è di agevolare i cambiamenti, nella consapevolezza che potrebbe volerci molto tempo. Ecco, il problema è questo: il tempo. Al punto di non ritorno, e l’ha scritto Berners-Lee, ci siamo adesso”.
(O) Di questo ci siamo già accorti, pur senza avere le conoscenze del papà di Internet. Ormai mi sono accorto molte volte che a guidare le mie ricerche su internet è un ‘qualcosa’ che pensa di conoscermi, un algoritmo che ha preso nota delle mie precedenti ricerche, che crede di interpretare i miei gusti. Tanto per fare un esempio, se a cercare un appartamento per le vacanze siamo io o mia figlia, le proposte sono diverse. Può darsi che le proposte di Berners-Lee oltre che sensate e utili siano ancora tempestive e, consentitemi un neologismo, dealgoritmizzanti, cioè umanizzanti, meglio riumanizzanti. Mi chiedo però se il problema non sia semplicemente trovare il modo di tornare ad educare.
(S) Stiamo per ripeterci, rischiando di diventare anche noi intellettuali con l’elmetto, che battono sempre sul loro chiodo fisso, noi spariamo sempre sul problema educativo. Torna a spiegare quello che dicevi all’inizio della bontà del caso, chiarendo cosa c’entrano gli esempi che hai portato.
(C) Semplicemente intendo dire che il caso (che taluni chiamano Grazia) talvolta riesce a guarire quel desiderio di onnipotenza che si annida nel più profondo dell’uomo, la sua libertà. Vi presento, in conclusione, l’esempio estremo: la totale scomparsa del sesso femminile tra i neonati di una area non piccola dell’India:
“Duecentosedici nati in 132 villaggi negli ultimi tre mesi, e nessuno di uno di loro era una bambina. Il governo di Uttarkashi, un distretto a Nord di Nuova Delhi, ha aperto un’indagine per scoprire la causa della “scomparsa delle bambine” sul suo territorio. Non può essere solo una coincidenza. Ciò indica chiaramente che c’è in corso una strage dei feti femminili nel distretto”.
Di fronte alla notizia che si fa strada il più assoluto e inumano degli opportunismi, che il caso o la Grazia mi abbiano fatto avere, attraverso le mie figlie, due splendide nipotine, mi sembra una prova sufficiente della possibilità di sperare che questo “strano caso”, che io chiamo Grazia, ci guarisca dalla tentazione utilitaristica, ci preservi dalla darwiniana ‘lotta per l’esistenza’ in tutte le sue forme, ci tolga dalla testa gli elmetti e dalle mani i fucili, anche metaforici. Sperare nel cambiamento in meglio non ci dovrà spingere ad armarci meglio nella lotta contro l’individuato nemico politico, sociale, culturale, economico, razziale (?), nazionale, sessuale e quant’altro potete immaginare.. Ragione e fede, entrambe, ci impongono piuttosto di saper accettare le impreviste scoperte di significato che la realtà stessa, per caso o per Grazia, ci propone. Il necessario cambiamento non verrà dall’imporre al mondo intero un progetto reso perfetto da un algoritmo universale, ma dall’umiltà di saper accettare la realtà e imparare da essa.
(S) Sebastiano Conformi (C) Costante (O) Onirio Desti
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