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Società

L’ORIZZONTE

EDOARDO ZIN - 29/11/2019

Il deserto di Giuda

Il deserto di Giuda

L’ho ben presente il deserto di Giuda. Ci arrivai attraverso una strada sassosa e brulla, superando le asperità del terreno che scende verso il Giordano e il Mar Morto, con uno sgangherato autobus assieme a un gruppo di pellegrini, anni fa. Era un pomeriggio d’estate e il sole cocente rendeva madida di sudore la camicia. La roccia era erosa dal vento, delle rare, ma violenti piogge, dalle brusche escursioni termiche. M’immaginavo una distesa di sabbia e invece mi trovavo di fronte a un luogo ostile, refrattario all’uomo. La guida, un cittadino d’Israele, citava Mosè, il decalogo, la manna, Elia… Non parlava di Gesù, tentato dal demonio, che aveva vissuto quaranta giorni in questo luogo inospitale.

Il mio pensiero corre a Giovanni Battista, la voce che grida nel deserto, che si ciba di cavallette, vestito da nomade, il quale per arrivare a quel luogo inospitale avrà dovuto tagliare sterpi, superare avvallamenti, spianare ostacoli. E lo fa per apprestare la via al cugino Gesù.

Sì, è quel Giovanni Battista – persona austera e non certo alla moda – che già domenica scorsa è venuto a sconquassare il mio quieto vivere. Ma domenica scorsa l’ha fatto in modo dolce, mi ha quasi lusingato, oggi no: mi prende a schiaffi! E lo fa tramite Gesù perché lui – il battezzatore – è in carcere. Tramite i suoi discepoli, pone a Gesù una domanda perentoria: “Sei tu colui che deve venire o devo attendere un altro?”

Anche Giovanni, colui che battezzava e preparava la strada a Gesù, è assalito dunque dal dubbio, è spaesato, è perplesso. “Non ho forse sbagliato tutto? Dov’è la presenza di Dio?” – avrà pensato.

Proprio lui, Giovanni, vuole avere la conferma che Gesù è colui che è atteso. Giovanni non si accontenta di spiegare la sua fede in Colui che ha annunciato come si fa con un teorema: è alla ricerca ed è inquieto. Ma il dubbio di Giovanni non è titubanza, esitazione, sospetto, scetticismo, al contrario è ponderatezza, fa domande perché vuol arrivare alla Verità. La sua ricerca è da imitare anche ai giorni nostri (chi dice il vero? I cambiamenti climatici sono opera dell’uomo o sono fenomeni ricorrenti? Licenzio operai perché sono bramoso di ricchezza o perché faccio intendere di salvaguardare l’ambiente? E il razzismo è o non è un’invenzione?). Il nostro Manzoni diceva che non è male agitarsi nel dubbio, ma è male perseverare nell’errore. Solo l’indifferenza è atea.

Gesù spiazza i discepoli mandati da Giovanni. Non dà loro una risposta. Li invita piuttosto a guardarsi intorno e li rimanda da Giovanni a raccontare le sue opere: i ciechi vedono, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono i morti risuscitano. È un invito a guardarsi attorno per riconoscere i segni di Dio che si manifestano nell’amore.

Anche oggi: i giovani che accorrono a Venezia per dare una mano ad asciugare una città ferita; coloro che affollano le piazze non per gridare, per odiare, per protestare, ma con una presenza silenziosa, in piedi, sotto la pioggia; è l’anziana professoressa in pensione che si reca in un centro d’accoglienza per insegnare l’italiano a dei minorenni profughi.

Sono questi i profeti d’oggi, coloro che “ricevono da Dio la capacità di scrutare la storia nella quale vivono e di interpretare gli avvenimenti. Sono le sentinelle che vegliano durante la notte e sanno quando arriva l’aurora” (papa Francesco). Sono coloro che fanno sprizzare scintille dalle pietre e che “irrompono per le porte della notte e con la loro voce incidono ferite, cercando un orecchio come patria, un orecchio non ostruito da ortiche” (Nely Sachs).

Non sventolano simboli religiosi, non mettono padre Pio sul cruscotto, non sono i “buoni cattolici”, non si vantano di “compiere i loro doveri”, non leggono “il buon giornale”. Si fanno prossimo. Non attraversano il deserto dell’indifferenza, vanno controcorrente: contro l’individualismo esaltano la carità che si fa giustizia, che dà a ciascuno il suo, ma che vuole soprattutto il bene dell’altro.

Giovanni è la “profezia” che indica la “salvezza”: Gesù, colui che sta per venire. Il precursore spiana le strade ingombrate dagli atteggiamenti che ostruiscono il passaggio di Dio, raddrizza le vie tortuose, abbassa le montagne dell’orgoglio e dell’egoismo, libera le valli della miseria.

Quanti sono i profeti nella storia! E non tutti sono santi! Sono gli uomini che liberano un popolo con la non-violenza come Gandhi, sforzandosi di abolire le discriminazioni razziali come Nelson Mandela o Martin Luther King, lavorando per il bene comune della città come Giorgio La Pira o per il Paese come De Gasperi o per l’Europa come Schuman, credendo fortemente nell’uomo abbrutito come don Rigoldi o don Mazzi, impegnandosi nella lotta contro le mafie come don Ciotti o facendosi piccoli fra i piccoli per educarli come don Milani o dando speranza a tanti uomini cercatori di Dio come Enzo Bianchi.

Quanti altri profeti abitano nelle nostre città. Persone all’apparenza normali, ma che con la loro vita sanno leggere la vita di ogni giorno alla luce della Parola di Dio. Col battesimo tutti siamo diventati profeti. Non c’è bisogno che ci vestiamo con pelli di cammello per annunciare il Signore che viene. Basta mettersi dalla sua parte e lasciare che Lui con la nostra vita accenda nuove luci che divampano nell’oscurità di questo tempo.

Giovanni viene a turbare il nostro quieto vivere, anche se grida nel deserto, non nel chiasso delle piazze, perché solo nel deserto si possono cogliere le parole che trasformano. Carlo Carretto – di ritorno dall’esperienza del deserto – diceva:” Anche qui a Roma trovo il deserto: il silenzio delle chiese vuote”.

Abbiamo bisogno di deserti non per fuggire dal mondo, ma per evadere da una realtà che inceppa il senso del nostro vivere. Solo nel silenzio la Parola può incrociare le strade degli uomini per riscattarli dalla dispersione, dalla preoccupazione ossessiva, per orientarli verso il Trascendente che solo può dare un significato al nostro mestiere di uomini. Avvento vuole dire anche questo.

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