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Divagando

LA BUTERIN E IL NERONINO

AMBROGIO VAGHI - 29/11/2019

Il centro di Varese ed alcune sue Castellanze

Il centro di Varese ed alcune sue Castellanze

Quella voce appassionata, drammatica che a sera si diffondeva da un balcone con le angosciate note del Cavaradossi della Tosca pucciniana, è rimasta quella di un cantante senza nome, senza passato e senza futuro. Una meteora rimasta nei ricordi di coloro che lo hanno chiamato il Caruso, come il famoso tenore napoletano. Un anonimato strano, ma fino ad un certo punto. Spiegato forse dalla discrezione dei belfortesi più dediti ai fatti che alle chiacchiere. Infatti quella voce sarà giunta alle orecchie del “Biciolano”, quello strano tipo che abitava all’angolo della via Folgaria con via Tonale, la cui casa confinava con quella del Girompini, magazziniere e colonna portante della Cooperativa. Un “ biciolano d’un biciolano “ veniva spesso lanciato come un insulto e nessuno ha mai saputo perché ce l’avesse tanto verso i decantati biscotti di Vercelli alle spezie. Forse ce l’aveva coi vercellesi ? Sta di fatto che se ne stette zitto e lasciò sempre il Caruso alle sue cantate.

Avrebbe dovuto sapere tutto il macellaio Mattavelli che aveva negozio proprio sotto le stanze del Caruso. Soprattutto la Mattavellina, la cassiera tutto fare. Una storia da raccontare con altri misteriosi aspetti irrisolti.

Il Mattavelli, macellaio provetto sia negli acquisti delle migliori “bestie “ piemontesi sia nell’arte dei tagli, aveva trovato al civico 108, fama e buoni affari. Era l’unico sul Viale e per trovare un altro negozio di carni bisognava andare al centro di Biumo inferiore, in più contava su clienti di passaggio da Malnate e Cantello. Aveva già superato da tempo la mezza età e anche tagliare fettine e incassare soldi a mani sporche gli faceva perdere tempo e punti per l’igiene. Si decise ad assumere una aiutante. Avrebbe fatto da cassiera, tenuto aperto il negozio quando andava al mercato o al macello. Detto fatto trovò una ragazza del quartiere che abitava con sorella e madre, poco lontano. Era l’Erminia ma da parte di tutti ben presto divenne “ la Buterin”. E burrosa lo era davvero, visetto giovane tutto latte e formaggio. Ma mai nessuno seppe spiegare con precisione l’origine quel termine buterin. Forse dall’aspetto della ragazza o forse dallo Mattavelli stesso che fornendoti una bella bistecca l’accompagnava con “l’è un bel buterin” esaltandone la tenerezza. Generoso e pronto a dare “la giunta con l’oss” ai più poveri affinché si facessero un buon brodo e spolpassero qualche costola.

Quindi se non lo sapeva la Buterin che dal suo tronetto parlava con tutti e conosceva tutte le chiacchiere del rione chi mai avrebbe potuto identificare quel misterioso Caruso ? Un personaggio questo che comunque non pareggiò il Neronino la cui fama usci presto da Belforte per conquistare addirittura il centro di Varese.

Qualche belfortese d’antan se lo ricorda ancora per le sue stranezze ben esibite.

Piccoletto, esile, nell’aspetto non aveva nulla del nefasto Nerone a cui si riferiva portando sulla fronte un nastro con tanto di diadema e la scritta Neronino. Si sentiva in piccolo il brutale incendiario di Roma. Nessuno l’aveva mai visto sorridere, si era talmente immerso nel ruolo e nell’incedere procedeva a passi… imperiali. Serio ed impettito se ne stava per ore appoggiato ad un colonna dei portici di rimpetto alla sede dell’allora Credito Varesino. Nessuno sa come vivesse. Forse assistito dalle istituzioni con le quali aveva avuto a che fare. Lo si arguiva da alcuni pronunciamenti che talvolta si permetteva di offrire ai passanti. “Macché manicomio e manicomio, li non si curano le mani. Testicomio bisogna chiamarlo”. Qualche volta, attratto da bellezze muliebri, si voltava e dichiarava “ che belle gambe ha la signora “ mettendo a disagio la persona oggetto del complimento.

Le cose più strane di questo poveretto diventato macchietta si conoscevano a Belforte. Abitava sul viale, in due locali posti sopra il parrucchiere Perotti, quello proprio davanti alla Trattoria Belforte. Il Neronino ne combinava delle belle che facevano il giro delle chiacchiere e sollevavano la curiosità di tutti.

Faceva il bucato in casa sua e si rivelava antesignano degli innovatori di biancheria. Esponeva ad asciugare lenzuola di un deciso colore viola. Le aveva tinte ? qualcuno diceva che le avesse soltanto immerse nel vino!

D’estate a finestre aperte si intravvedeva chiaramente l’interno alto di casa sua e si ammiravano padelle, casseruole, pentole ed altri suppellettili da cucina, agganciati al soffitto da cui pendevano. Una astruseria ? Certamente, allora, ma in seguito, dopo tanti anni, divenuta oggetto delle invenzioni di celebrati architetti arredatori d’interni.

Macchiette, tradizioni, economia agricola e manifatturiera, avvenimenti, fiere, feste patronali. Perché non rivalutare le periferie ? La Varese di oggi proviene dall’unione di tanti ex paesi e paeselli. Basti pensare che esistono ben 14 cimiteri dove sono conservate le memorie di tante storie locali.

Varese è molto altro dei pochi commercianti della piazza centrale che hanno conservato forse la mentalità di coloro che all’arrivo degli occupanti tedeschi rialzarono le saracinesche al grido di sollievo “ Pàghen, Pàghen ! “. Varese custodisce nelle Castellanze e negli ex paesi, tradizioni, storie di vita, leggende, aneddoti, ambienti naturali, riflessi di economia agricola e anche opere d’arte. Non c’è solo il celebrato Sacro Monte di cui parlare, con la sua importante vocazione religiosa, culturale e turistica. Pensiamo a Bizzozzero, Velate, S. Ambrogio, Masnago, Casbeno, Bobbiate, Calcinate, Capolago, La Rasa, Biumo e Belforte.

Parliamone. C’è soltanto bisogno di appassionati indagatori, di “cantori” di tante bellezze nascoste che sono le nostre radici culturali ed economiche. Il nostro futuro varesino sta anche qui, nel capire il proprio passato per costruire meglio il futuro. Sta nel ravvivare le periferie non lasciandole solo come luoghi nei quali risiedere per dormire.

Fortunatamente questo deve avere capito l’attuale amministrazione civica del sindaco Davide Galimberti che già ha effettuato un tour nei rioni per sentire dalla viva voce degli abitanti le loro necessità e le loro proposte. Non un fatto elettorale, ma accompagnato da soluzioni strutturali che dovrebbero dare continuità all’impegno. La creazione di un assessorato alle periferie affidato alla dottoressa Perusin e l’avvio, sia pure in ritardo, dell’insediamento dei Consigli di quartiere.

La strada ci sembra quella giusta.

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