Matteo Zuppi, vescovo di Bologna da tre anni e cardinale da un mese e mezzo, è un ex prete di strada: onore a lui. Ha sempre prediletto gli ultimi, quelli cui la vita infligge privazioni, sofferenze, ingiustizie, dolori. S’è formato alla Comunità di Sant’Egidio e la sua storia pastorale viaggia nel segno della coerenza a praticare il Vangelo. Dunque, di che meravigliarsi se Zuppi scrive un libro intitolato ‘Odierai il prossimo tuo’ nel quale denunzia l’andare a ritroso, in molti àmbiti della società contemporanea, rispetto alla direttrice del cristianesimo? Nulla. Proprio nulla.
Accade però l’opposto: un paradossale/rovesciato amo et odi (l’amore, gli odii) del carme catulliano. Il cardinale viene marchiato come il capocordata cattolico della politica antisovranista-salvinana. Un ruolo, si sentenzia, assegnatogli da Papa Francesco, reo di pensarla come lui circa miseria e immigrazione, esclusi e disperati, porti chiusi e braccia aperte. Sarebbe curioso capire dove sta l’intento partitico quando un uomo di Chiesa (quest’uomo di Chiesa) dice in un’analisi che va oltre il nostro Paesello: “L’accoglienza non è un incubo da evitare, è il modo in cui la società cresce, ringiovanisce, matura”. Oppure: “Corriamo il rischio di non commuoverci più per la condizione di chi non ha nulla o è in pericolo”. O ancora: “Qualche volta la povertà sembra una colpa e l’aiutare è ridotto a buonismo”. E poi: “L’enfasi sulle frontiere ha troppo in comune con le ossessioni dei nazionalismi che hanno avvelenato il secolo scorso con due guerre mondiali e il paganesimo della superiorità della razza. Per dire che i diritti dei ‘miei’ sono più dei diritti dei ‘tuoi’ occorre coprire la realtà, creare narrazioni plausibili ma infondate, e gerarchie tra persone, capri espiatori, nemici, congiure internazionali”. Inoltre (ma non infine): “Oggi c’è ancora tanta fame, ma si rimprovera chi fugge -molti migranti cosiddetti economici- come se la povertà fosse una colpa e dovessero restare là, nella loro terra, ‘a casa loro’. Pensiamo come normale diritto di sovranità sbattere la porta in faccia senza nemmeno domandarci perché sono venuti”.
Il cardinale non afferma niente di straordinario. A meno che tali non siano da considerare valutazioni di buonsenso, di umanità, di riconoscimento del valore della fratellanza universale. Che c’è di partigiano, o peggio di ‘sinistro’, nel sostenere che se venisse approvato lo ius culturae si favorirebbe l’integrazione di migliaia di bambini d’origine straniera, ma italiani di fatto? Che c’è di sovversivo nell’auspicare regole, diritti, doveri eguali per ogni cittadino indipendentemente dal colore della sua pelle? Che c’è di sedizioso nel sostenere che la costruzione di moschee, ovviamente senza trasgredire alcuna legge, aiuterebbe il dialogo con gl’islamici e dunque una società percorsa da un minor numero di turbamenti/ostilità?
Il sottotitolo del libro recita: “Perché abbiamo dimenticato la fraternità. Riflessioni sulle paure del tempo presente”. Niente d’inventato, tutto di reale. A proposito di fraternità e paure, le cose stanno proprio così, e lo sa chiunque. Perciò Zuppi non fa che allertare sensibilità spente, riflessi ovattati, tensioni dimenticate, ipocrisie sepolcrali. Dov’è lo scandalo s’egli si limita a sollecitare il ‘ritorno dell’umanesimo’, la riproposizione ‘dell’arte del dialogo a vantaggio di tutti’, lo spezzarsi del ‘corto respiro di strategie difensive e lontane dall’essere risolutive’? Lo scandalo è che la denunzia del dilagare di passioni superficiali, umori con disinvoltura cangianti, protervie egoistiche e insieme ciniche sia scambiata per una dichiarazione di schieramento avversa alla destra italiana allo scopo di condizionare i prossimi cimenti elettorali. Come se parlare di senso della responsabilità, contributo al bene comune, voglia di abnegazione, altruismo e sacrificio fosse di una fazione piuttosto che d’una nazione. Di un piccolo mondo, anziché del mondo intero. Zuppi è per il tutto, non per la parte. Ma una parte non lo sa o non lo vuole capire.
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