-Caro Mauro, quella volta che…
“Caro Massimo, quella volta che Piero Chiara diede dei bottegai varesini un’immagine destinata a far storia. E a far tradizione”.
-Circostanza?
“Il racconto ‘Pàghen, pàghen’, ambientato nei giorni del settembre ’43, quando colonne dell’esercito tedesco passarono da Varese, dirette oltreconfine”.
-Cosa accadde?
“Scrisse Chiara che una pattuglia si fermò nei pressi del corso principale della città. L’attenzione e il sospetto che stesse per accadere qualcosa di temibile era diffusa. Poca gente in giro, serrande dei negozi calate. Molta paura. Però una vetrina non aveva la saracinesca abbassata. Era quella d’una piccola pasticceria”.
-E dunque?
“Due militari la videro, decisero d’accostarsi, ne furono attratti, entrarono. Si paventò il peggio”.
-Invece…
“Invece si fecero confezionare un pacchettino di paste, tirarono fuori soldi italiani, li diedero all’esercente e uscirono. Fu allora che il droghiere Basletti, che aveva assistito alla scena, cominciò a gridare: ‘Pàghen,pàghen’. Pagano, pagano. E tutte le clère, da giù che erano, tornarono su”.
-Questo per dire?
“Per dire che il commercio va oltre l’ideologia e quant’altro. Non ha ritegno morale”.
-Invece?
“Invece la sua morale, e devo dire la mia, ce l’ha, eccome. Ed è questa: il commercio fa da volano all’economia d’una piccola città, raccoglie soldi, li reinveste, serve a promuovere molte iniziative altrimenti destinate a rimanere nei pensieri, altro che nei fatti”.
-Viva il Basletti, abbasso Chiara…
“Viva il Basletti. Ma non abbasso Chiara. Che conosceva il valore, l’importanza, addirittura l’indispensabilità del commercio. Pur se si divertiva a dileggiarlo”.
-Varese città di bottegai è una definizione che ti piace?
“Che considero positivamente realistica. Abbiamo avuto negozi di gran qualità. Per esempio: Valenzasca e Tagnocchetti nella gastronomia, Nisca nell’abbigliamento, Buzzetti nell’oreficeria, Trotti e Pertusi nelle maglie, Binda nei giocattoli, Vercellini in spezie e affini. Eccetera. Per non dire d’altri mondi che vi facevano da contorno e sono scomparsi: caffè come il Centrale, il Socrate, il Lombardi. Cinema come il Lyceum, il Vittoria, il Gloria. Fermiamoci qui”.
-Oggi realtà assai differente…
“E pessima. Un’occhialeria dopo l’altra, un mutandificio dopo l’altro, una multinazionale dell’affare dopo l’altra. La città ha perduto il suo marchio identitario, al quale solo i superficiali potevano obiettare con sufficienza o perfino sdegno. Bisogna essere riconoscenti, ai bottegai. Grazie a loro, abbiamo fatto conoscere la Varese non bottegaia: c’era gente che veniva, che so, da Taranto per comprare un ‘Principe di Galles’ da Nisca. E poi scopriva quant’era bella questa terra di Lombardia”.
-Bisognerebbe fare il monumento al bottegaio…
“Perché no? Il bottegaio è stato a lungo il nostro cavallo di battaglia. Non bisogna vergognarsene. Semmai il contrario: bisogna esserne orgogliosi. Lo era pure Chiara, in fondo. Le storie dei commercianti han fatto, anch’esse, la fortuna della sua bottega di ‘raconteur’ e romanziere”.
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