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Cultura

PIEZZ’E CORE

SERGIO REDAELLI - 22/11/2019

Libri a mollo a Venezia

Libri a mollo a Venezia

Rare edizioni Einaudi e Bompiani galleggiano nell’acqua alta a Venezia (la storica libreria Toletta nel sestiere Dorsoduro ha perso da sola 1800 volumi), i soccorritori cercano di salvare il salvabile e qualcuno usa il phon del bagno di casa per asciugare preziose stampe del ‘600. Nei casi estremi – come l’alluvione di Firenze nel 1966 che inondò la Biblioteca Nazionale e in questi giorni nella città natale di Goldoni (l’alta marea ha allagato anche la sua Ca’ Centanni a San Tomà) – i libri sembrano essere un piezz’e core degli italiani. Un amore solerte e premuroso. In realtà fugace e passeggero. Che cosa resta dell’ardente passione passata l’emergenza, scampato il pericolo?

Resta il fatto che gli italiani leggono pochissimo e che a salvare i libri dal fango in caso di bisogno sono i volonterosi e gli studenti. Poi tutti se ne dimenticano. Mentre Venezia affondava, a Milano era in corso BookCity con oltre 1500 eventi e la partecipazione di 3 mila autori, 1400 classi scolastiche e 400 volontari all’opera in 250 sedi del territorio, perfino nelle case private. Un indiscutibile impulso alla lettura. Ma secondo una statistica di Amazon, Milano è da sette anni la città italiana nella quale si comprano più libri di carta e digitali, seguita da Padova e Pisa. E il titolo più venduto nel Belpaese è l’autobiografia Un capitano di Francesco Totti.

In settembre l’Associazione italiana degli editori ha compiuto 150 anni di vita. Per l’occasione il capo dello Stato Sergio Mattarella ha ricordato che “la cultura passa anche dalla lettura ed è alla base della crescita civile del Paese”. Ma le cifre deludono. Ricardo Franco Levi, presidente dell’Associazione, avverte che “la lettura è un’emergenza nazionale, non c’è quasi un singolo parametro tra quelli che misurano lo stato di salute dell’istruzione e della cultura nel quale l’Italia non si collochi agli ultimi posti tra i Paesi europei”. È vero che il mercato del libro nel primo semestre 2019 vede crescere il fatturato del 3,8% (530 milioni di euro) e che registra un aumento delle vendite del 2,9 (39,7 milioni), ma è altrettanto vero che in meno di dieci anni – dal 2010 al 2018 – l’Italia ha perso per strada quasi 3 milioni di lettori di libri.

La patria di Dante, Manzoni e Pirandello perde il confronto sia in Europa che fuori. La percentuale di lettori rispetto alla popolazione è del 92% in Francia, dell’86 nel Regno Unito e negli Stati Uniti mentre in Italia è ferma al 60. “Serve una politica di promozione della lettura con agevolazioni e incentivi alle famiglie e ai singoli cittadini per acquistare i libri”, è l’auspicio di Levi. Il ministro dei beni culturali Dario Franceschini vorrebbe investire risorse per digitalizzare archivi di Stato, biblioteche e istituti storici. E, nella legge di sostegno alla lettura che attende il via libera della Camera, medita di fornire ai libri gli stessi aiuti di cui gode il cinema. Ma l’atavica precarietà dei governi italiani glielo consentirà?

Non sembra in grado di arrestare il trend negativo l’ultima fatica letteraria di Walter Veltroni che si muove con disinvoltura fra politica (fu tra i fondatori del Pd), amministrazione pubblica (è stato sindaco di Roma), giornalismo (ha diretto l’Unità), regia cinematografica e letteratura poliziesca, nonché autentico prezzemolino in ogni salotto televisivo. Il suo debutto da giallista con Assassinio a Villa Borghese è stato stroncato da Michela Murgia ai microfoni di Radio Capital. L’autrice del best-seller Accabadora, vincitore del Premio Campiello, lo ha definito “il libro più brutto che ho letto negli ultimi anni” e ha chiuso la velenosa recensione invitando Veltroni a tornare alla politica.

Nel brano anticipato sul Corriere di un pamphlet sulla censura, Libri al rogo. La cultura e la guerra all’intolleranza, l’autore Pierluigi Battista definisce i libri “rifugio irraggiungibile, fortezza inespugnabile” e sottolinea la differenza fra le parole e le azioni che “è la base di una società libera e tollerante”. È in parte la risposta a quanto accadde all’ultimo Salone del Libro di Torino con la clamorosa esclusione della casa editrice Altaforte vicina a Casapound e dell’editore Francesco Polacchi che si definisce “fascista”. È giusto avere paura dei libri? Temere le parole, censurare il pensiero di chi esalta le idee antidemocratiche?

Che fare per esempio del Mein Kampf di Hitler? Conservarlo nelle biblioteche pubbliche o mandarlo al macero? Risponde Pierluigi Battista: “Io posso propugnare sul giornale o in un libro l’abbattimento rivoluzionario dello Stato borghese e non ne deve venire danno alla mia libertà di esprimere le idee più radicali. Se sono fascista devo essere libero di dirlo perché è illiberale equiparare a un reato il dirsi fascisti. Mettere sul banco degli imputati dei cittadini per apologia di fascismo è un cedimento alle pulsioni prepotenti dell’intolleranza, un regalo a chi si vorrebbe combattere”. C’è materia per riflettere. Soprattutto oggi che le parole suonano come minacce.

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