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Chi muore giovane viene baciato dagli dei, recita l’adagio. Nel senso che resta sempre giovane nel ricordo di ciascuno; quindi per paradosso, talora l’effimero è imperituro. È accaduto di andarsene all’età di 25 anni, a Françoise Dorléac, sorella maggiore di appena un anno di Catherine Deneuve, nata Dorléac anche lei, ma per differenziarsi dalla sorella già in carriera nel cinema, fu costretta ad assumere il cognome della madre, Renée Deneuve.
La bellissima e “immortale” Catherine in questi giorni è afflitta da un malore, che alle prime sembrava grave e poi s’è rivelato essere la conseguenza di un affaticamento da lavoro perché lei, all’apparenza così fragile, è una che non si risparmia mai. Adesso è stata ricoverata in un “clinica segreta”, assistita dagli amici e dai famigliari. Il ricordo della sorella, crediamo, è tra le cose che le danno forza per reagire e per ritrovare sé stessa.
Le due sorelle Dorléac erano davvero unite al punto da comportarsi come gemelle. Più diafana e algida Catherine, più vivace e sensuale Françoise. Quest’ultima era il fuoco, mentre Catherine è uno specchio d’acqua calma e tranquilla. Diverse per temperamento, iperattivo e frenetico quello di Françoise, freddo e compassato quello di Catherine, ma entrambe con quello sguardo penetrante talora malinconico che lascia filtrare una certa “aria di famiglia”. Provengono infatti da una famiglia di doppiatori del cinema. Il loro padre Maurice Dorléac insieme alla madre Renée Deneuve, dirigevano il doppiaggio francese per la Paramount.
Il regista Jacques Demy le ingaggiò entrambe nel ruolo di due gemelle, nel musical “Les demoiselles de Rochefort” su coreografie di Gene Kelly e musica di Michel Legrand. Un piccolo gioiello distribuito in Italia con l’insignificante titolo di “Josephine”, non si sa bene perché, tenuto conto che le due “demoiselles” si chiamavano nel film Solange (Françoise) e Delphine (Catherine), gareggiando in grazia e seduzione mentre danzano e cantano con una musica dinamica e vitale che corrispondeva un po’ al ritmo delle loro giovani vite affacciate al mondo.
Fu il film che le riunì facendole sentire più che mai “in famiglia”, ma le separò subito dopo per sempre. Françoise avrebbe dovuto recarsi a Londra per assistere alla prima della versione doppiata in inglese delle citate “Demoiselles”, ma rimase vittima di un fatale incidente d’auto a Villeneuve-Loubet non lontano da Nizza il 26 giugno del 1967. La ragazza correva velocemente verso l’aeroporto di Nizza, l’auto andò fuori strada e prese fuoco. Non poté salvarsi poiché le portiere rimasero bloccate, e morì insieme al suo cagnolino tra le fiamme, episodio drammatico che segnò profondamente la vita di Catherine rimasta a lungo traumatizzata dal tragico avvenimento.
Ci vollero 50 anni per liberarsi da quella straziante ferita, allorché scrisse un libro biografico sulla sorella dal titolo “Elle s’appelait Françoise” (Si chiamava Françoise), libro che nelle sue intenzioni, non vuole essere una severa commemorazione, ma piuttosto un omaggio tenero, sobrio e sereno verso una sorella che le fece da apripista nel cinema. Un’attrice piena di verve che esordì poco più che fanciulla a teatro in una briosa “Gigi” di Colette, fascinosa e molto amata, morta all’alba di una carriera che aveva tutte le premesse per essere lunga e imponente (venti film al suo attivo distribuiti in una vita breve, intensa e luminosa come una meteora). Si dice che fosse bulimica di lavoro e che girato un film, passasse subito ad un altro.
“Era mia sorella Françoise ad avere la vocazione”, conferma Catherine nelle sue interviste, a proposito della sua carriera d’attrice, “Io ho incominciato per caso perché lei già recitava in teatro”. “L’avevano scelta per un film e qualcuno mi chiamò a interpretare proprio il ruolo sua sorella”.
Insomma a raccomandare Catherine, fu proprio Françoise. Da lì iniziò, per caso, la sua straordinaria e longeva carriera artistica, ricca di premi e soddisfazioni professionali che la vede protagonista fino a oggi a 76 anni compiuti il 22 ottobre scorso, nel suo ultimo film in corso nelle sale cinematografiche dal titolo “Le Verità” del regista giapponesei Kore’eda Hirokazu. Un raffinato imperdibile film, ricco di suggestioni biografiche, in una sceneggiatura che intreccia verità e finzione cinematografica, set e vita familiare e affettiva.
Storia di un’attrice-diva sul viale del tramonto ma ancora molto richiesta dal mercato cinematografico di nome Fabienne (guarda caso, il secondo nome di Catherine), alle prese con un suo libro autobiografico, ma soprattutto con i conti delle sua vita che non sempre tornano. Sara, la cara amica, quasi sorella, grande attrice e figura mitica morta precocemente, l’assente di cui si parla con insistenza nel film sarebbe, a detta di molti, un’allusione del regista a Françoise Dorléac.
Vite, a tratti, parallele quelle delle due sorelle Dorléac, ma anche brutalmente disgiunte dal tragico evento della morte. Françoise ebbe una relazione sentimentale col regista François Truffaut che la chiamava scherzosamente Framboise (lampone), nel corso del suo film “La Peau Douce” (La calda amante), storia di una hostess innamorata di uno scrittore già sposato e pertanto coinvolto nel classico triangolo, suscitando le ire della moglie che poi lo ucciderà. Film freddamente accolto a Cannes, poiché tacciato di conformismo, ma che servì molto alla sua carriera.
Anni dopo, forse inconsapevolmente sulla scia di sua sorella anche Catherine intrecciò una relazione col citato regista che la diresse in “La mia droga si chiama Julie”. Catherine fu diretta da Roman Polanski nel film horror “Repulsion” (1965); un anno dopo Françoise fu diretta dallo stesso regista in “Cul de sac” (1966), film dalle atmosfere surreali, assurde e grottesche che fu premiato al Festival di Berlino.
Non si può fare a meno di notare inoltre, la singolare rassomiglianza dell’attuale moglie di Polanski Emanuelle Saigner con la Dorléac. Nel film “L’uomo di Rio” Françoise ebbe per partner Jean-Paul Belmondo cui toccò poi essere partner di Catherine anni dopo nel citato “La mia droga si chiama Julie” di Truffaut (1969).
Françoise prima della la sua carriera cinematografica lavorò come modella da Christian Dior, mentre Catherine fu a lungo testimonial di Yves-Saint Laurent, con cui restò a lungo in stretta amicizia. Rimase memorabile il vestitino nero col colletto bianco in stile collegiale in “Bella di giorno” di Bunuel che il regista giapponese ha usato come “citazione” in “Le Verità.
Esiste inoltre un filone inglese comune a tutte e due. Françoise recitò accanto a Michael Caine in un film di spionaggio firmato da Ken Russell dal titolo “Un cervello da un miliardo di dollari”, e nella commedia avventurosa “A caccia di spie” con David Niven, due film che le aprìrono le porte del mercato anglo-sassone. Catherine si trasferì per un periodo in Inghilterra dopo aver sposato David Bailey, fotografo della Swingin’ London.
Poi le fatidiche (e fatali) “Demoiselles de Rochefort” di Jacques Demy in una gara di grazia, leggerezza e bravura con le coreografie di Gene Kelly e nel refrain di Michel Legrand “Nous sommes deux jumelles, nées sous le signe des Gemeaux” (Siamo due gemelle/nate sotto il segno dei Gemelli). Fatali, perché come scritto, era proprio per assistere alla prima in inglese di quella commedia musicale che Françoise avrebbe dovuto recarsi su quell’aereo per Londra che non riuscì mai a prendere.
Ma ecco il piccolo miracolo. A Rochefort, località a sud-ovest della Francia nella Nuova Aquitania non lontana da La Rochelle, con le facciate delle case colorate di colori pastello e le persiane dai colori violetti, rosa, verdi, hanno dedicato una piazza dove è transitata la “demoiselle” sul set e per le strade della città, “Place Françoise Dorléac”.
Catherine è stata madrina dell’evento dichiarando che per sopravvivere a questa profonda lacerazione, le piace credere che gli esseri che più amiamo continuino a rivivere dentro di noi. C’è anche un famoso vivaio in Francia che ha dato ad una rara varietà di camelia autunnale, il nome di “camelia Françoise Dorléac”.
Commossa, l’attrice parigina ne ha promosso il lancio: quel fiore che continua a vivere coi suoi splendidi delicati colori anche nella stagione fredda, rappresenta un modo per far rivivere Françoise, e tutto ciò è per lei, specie in questi giorni di infermità, di grande conforto.
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