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Quella volta che

MURI D’ARTE

MAURO DELLA PORTA RAFFO E MASSIMO LODI - 15/11/2019

arcumeggia-Caro Mauro, quella volta che…

“Caro Massimo, quella volta che andai con mio padre Manlio e mio fratello Silvio ad Arcumeggia, borgo sconosciuto e strada sterrata per arrivarci”.

-Quando e perché l’escursione?

“Papà era direttore dell’Ente provinciale per il turismo, girava palmo a palmo il territorio, s’informava, cercava idee nuove. La domenica ci portava a spasso, ma in realtà anche lo svago festivo era occasione di lavoro. Così accadde nel caso d’Arcumeggia”.

-Ovvero?

“Fu incantato dal luogo, a metà della Valcuvia, su di tre chilometri rispetto alla sottostante via di transito da Cittiglio a Luino. E cominciò a meditare come valorizzarlo turisticamente”.

-Con quale esito?

“L’idea di farne il paese dipinto, come poi sarebbe stato chiamato, maturò dopo un colloquio con Piero Chiara. Piero ricordò la consuetudine degli emigranti della zona, habitué del lavoro stagionale in Francia, d’impreziosire i muri delle loro case con ex voto eseguiti da modesti artigiani; Manlio pensò alla realizzazione d’opere d’arte sulle pareti esterne delle abitazioni”.

-Detto e fatto…

“Fatto subito. Nell’estate del ’56 si aprì la fase operativa, l’adesione del mondo culturale fu entusiastica, molte firme illustri parteciparono”.

-Arcumeggia divenne una sorta d’accademia dell’affresco…

“Al punto che si mise a disposizione degli artisti impegnati a lavorare sul posto una Casa del pittore, progettata dall’architetto Bruno Ravasi. Nel borgo girarono per anni personaggi famosi e bizzarri”.

-Per esempio…

“Che so, Aldo Carpi che soffriva di sordità e talvolta rimaneva impassibile ai complimenti che gl’indirizzavano i passanti. O Gian Filippo Usellini, che stupiva i commensali quando la sera ci si metteva a tavola: un mangiatore formidabile. O, sempre a proposito di gastronomia, Santo Monachesi, al cui nome s’intitolò un piatto di spaghetti. La ricetta è stata conservata dalla mia famiglia, tramandandosi di generazione in generazione. Una specie di carbonara, ma migliore”.

-Monachesi fu protagonista d’un singolare episodio…

“I benpensanti dell’epoca giudicarono sconveniente il soggetto della sua opera. Lui abbozzò, cambiando il titolo: da “Viva le donne di Arcumeggia” a “Trionfo di Gea”. Quando si dice la pruderie”.

-La sfilata dei grandi nomi durò a lungo…

“Quasi una ventina d’anni. Si cominciò con Funi, Tomiolo, Brancaccio, Montanari. E poi Angelo Frattini, il figlio Vittore. E ancora De Amicis, Migneco, Dova. Naturalmente Sassu. Infine Salvini e Treccani. Fu un piccolo e riuscito tentativo, in un villaggio pioniere e pilota, di riavvicinare l’arte alla vita. Lo scrisse Margherita Sarfatti”.

-Un fervore culturale non più replicato…

“Non più, purtroppo. Vennero gli anni della decadenza e della trascuratezza, a sbiadire i colori di Arcumeggia”.

-Dopo gli affreschi, il gelo…

“E non è una freddura”.

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