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Parole

VIRUS ANTISEMITA

MARGHERITA GIROMINI - 15/11/2019

antisemitismoCresce l’antisemitismo nel nostro paese, come in Francia e in Germania, paesi che per questa rinata forma di odio hanno contato addirittura delle vittime.

Condivido l’affermazione dello storico israeliano Efraim Zuroff, direttore del Centro Wiesenthal di Gerusalemme: l’antisemitismo è “una malattia del presente che ipoteca il futuro e per combatterlo non basta l’indignazione di un giorno”.

Gli attacchi alla Segre testimoniano l’urgenza di tenere sotto controllo la diffusione della propaganda razzista, antisemita e xenofoba.

Monitorare non basta: va sviluppata da subito un’azione che coinvolga il mondo dell’informazione e quello della scuola.

In un paese democratico non ci si può limitare a coinvolgere la sola magistratura perché questa malattia sta intaccando gli organismi più vitali della società.

Quando qualcuno afferma che è ora di seppellire il passato, perché è “roba” d’altri tempi, perché è una storia del secolo scorso, bisogna essere pronti a replicare, sempre con Zuroff,che “il tempo non lenisce la colpa e certi crimini non hanno scadenza”.

A muovere gli ultimi testimoni e i loro discendenti, e a dare la sveglia a noi figli del Novecento, non può essere il desiderio di vendetta ma unicamente il richiamo alla giustizia.

Per realismo siamo costretti ad affermare che l’antisemitismo non è debellato, anche se oggi si presenta in tanti modi diversi potendo muoversi in uno spazio libero dove viene accolto da nuove forme di ascolto se non di copertura e di giustificazione politica.

In Italia c’è antisemitismo? Sì.

Nei dati dell’Osservatorio CDEC (Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea) 2019 sono registrati ben 190 episodi, un numero maggiore rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.

Il 70% circa degli episodi viaggia on line, la nuova frontiera dell’odio: insulti, vandalismo, fake news, rare – per ora – violenze fisiche.

Un signore schiaffeggiato e una donna oggetto di sputi:  solo due vergognosi esempi.

I ricercatori del CEDEC avvertono che la nuova deriva antisemita si colloca nel quadro più vasto dell’intolleranza generalizzata, quello stato di cose che autorizza a esternare pensieri e azioni fino a qualche anno fa nemmeno immaginabili.

Aggressività e i pregiudizi nei confronti dei “neri” prendono il via, in apparenza, dai tratti fisici; contro gli omosessuali dalle differenti scelte affettivo sessuali, verso rom e sinti dall’accusa di essere ladri.

Gli attacchi verso le persone di religione ebraica non si fondano su una qualche, sia pure pretestuosa, caratteristica fisica bensì su narrazioni che arrivano a noi dalla notte dei tempi e che farneticano di ebrei usurai, o finanzieri esosi e corrotti, addirittura occulti dominatori del mondo, manovratori di lobby mondiali, esecutori di nefasti progetti finalizzati al dominio dell’intera umanità.

L’antisemitismo nel nostro paese si esprime soprattutto verbalmente, ricorre all’aggettivo o al sostantivo “ebreo” brandito come insulto. Quasi sempre abbinato alle svastiche e agli elogi per Hitler.

Anche nelle scuole si è manifestato in una continua l’escalation antisemita: a Roma e a Ferrara come a Milano, e dovunque vivano comunità di persone di religione ebraica.

Si va dalle minacce all’emarginazione dal gruppo e sempre con rimandi alla storia della Shoah trattata dai giovani alla stregua del peggior fumetto dove i cattivi sono gli ebrei.

La scuola può svolgere un ruolo importante nel contrasto a questa nuova deriva: informando, spiegando, documentando la storia della Shoah.

Purtroppo tra i docenti si annida qualche mente antisemita: rara ma urlante. Docenti indegni del ruolo che lo Stato italiano, democratico e antifascista dalle fondamenta, ha affidato loro, falsi educatori devianti e deviati dal compito di educare e istruire le giovani generazioni ai valori della Costituzione.

Ma la buona notizia stavolta c’è ed è la reazione degli studenti. La docente romana che ha insultato pubblicamente una ragazza di religione ebraica è stata denunciata alle autorità scolastiche dai suoi stessi studenti, compagni di classe della vittima.

Segno che non sempre e non dovunque allignano ignoranza e malvagità.

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