Qualche giorno fa. Varese, fermata dell’autobus in corso Moro. In mezzo alla strada penzolano già gli addobbi natalizi. La “E” è in ritardo. C’è chi impreca (E poi ci invitano a usare il trasporto pubblico…!), chi è rassegnato (È sempre così…!), c’è chi è inquieto (Mi farà perdere la coincidenza…!), chi si sporge dal marciapiedi e volge lo sguardo verso la direzione di provenienza dell’autobus. Tutti attendono. Sono in affanno. Lo sono anch’io.
Guardo in alto e un addobbo natalizio mi ricorda che presto noi ambrosiani stiamo per cominciare il tempo dell’attesa del Natale.
Ma con quale spirito attendo il Natale? E quale Natale? Quello godereccio e consumistico? Quello stucchevole della tavola addobbata a festa? Quello incantato dei bambini? Quello del presepio reso obbligatorio dai politici che così innescano un’altra santa crociata contro chi non rispetta la nostra civiltà?
Eppure l’attesa serve. Perché solo per chi attende arriva qualcosa, e per chi crede è più vero ancora perché attende Lui, il Figlio inviato dal Padre a farsi uomo per salvare tutti gli uomini, donando a loro la Parola vera che incoraggia, scalda il cuore, invita a cambiar vita.
Forse, una bella definizione del Natale la diede anni fa mio nipote Matteo che mi disse: “Natale è il compleanno di Gesù!”.
La vulgata comune al contrario dice: “Aspettiamo che nasca Gesù bambino. Ci prepariamo alla nascita di Gesù. Gesù sta per nascere”. Non mi piacciono queste espressioni comuni prive di qualsiasi qualità di fede adulta vissuta alla luce del Vangelo. Gesù è nato una sola volta, a Betlemme da una donna chiamata Maria e non attendiamo più la sua nascita: da quel giorno il mondo incominciò ad avere un’età. A Natale facciamo memoria di questo avvenimento e attendiamo la sua seconda venuta gloriosa alla fine dei tempi quando, come recitiamo nel Credo, Egli verrà “a giudicare i vivi e i morti e il suo Regno non avrà fine”.
Noi ci troviamo a vivere nel “tempo di mezzo”, tra l’Incarnazione e la venuta gloriosa del Signore, tra il “già” e il “non ancora”. Ora noi l’attendiamo.
L’attendiamo in mezzo “ai rumori di guerre” – come dice il Vangelo di Matteo – quando “si solleverà nazione contro nazione”, “vi saranno carestie e terremoti”, quando “sorgeranno falsi profeti e inganneranno molti”. È la nostra storia: il mondo ha visto, vede e vedrà l’Anticristo che seduce i popoli della terra: un’altalena di tempo farcito di gioie e di dolori, di brutto e di bello, di luce e di buio. E non ci accorgiamo di nulla perché viviamo senza preoccuparci della questione fondamentale: il Signore risorto e asceso al Cielo ritornerà! E dobbiamo attenderlo perché il Signore verrà e dobbiamo vigilare. Seppur travolti dall’odio o dalla rassegnazione o dalla inquietudine o dalla spensieratezza, dalla paura che si fa rancore, dalla fretta degli avvenimenti imprevedibili, a noi spetta il compito di attenderlo.
Ma non mi lascio prendere dall’agitazione, come se la venuta del Signore fosse vicina. Sì, Matteo, l’evangelista, mi lascia frastornato:”Quelli che sono in Giudea fuggano sui monti, chi si trova sulla terrazza non scenda a prendere le cose di casa sua, e chi si trova nel campo non torni indietro a prendere il mantello”. È la storia dei nostri giorni con la presenza delle forze del male che attraversano la storia: sono le menzogne (“Verranno, diranno, faranno, non lasciatevi ingannare!”); è la presenza degli uomini forti che si credono Dio (“Molti verranno nel mio nome, dicendo: Sono io il Cristo e trarranno molti in inganno”) e che ci vogliono imbonire col mito della potenza; saranno lo sconforto e la stanchezza che raffredderanno il cuore “per il dilagare dell’iniquità”; “vi sarà allora grande tribolazione”.
Anche nella storia d’oggi ci sono tante iniquità: le guerre e il terrorismo, i paranoidi che credono nelle loro fantasie; gli uomini in cerca di salvezza che partono dalla loro terra su gommoni, affondano e muoiono; i muri che si alzano; la violenza degli insulti e delle minacce che giunge a bruciare le librerie, fonte di cultura; la gelosia che porta al femminicidio; la negazione della realtà dei campi di concentramento; l’odio contro un giocatore colpevole di avere la pelle nera, l’occulto dei poteri anonimi, il tutto mentre il pianeta brucia a causa dell’incuria dell’uomo. “Tutte le cose sono talmente confuse che non resta che il giudizio di Dio”, dicevano al tempo dei monasteri.
Il tempo è come una freccia, dice Sant’Agostino, e ha una traiettoria e uno scopo: il ritorno di Cristo.
Dunque: Dio verrà. Ma come? Cosa devo fare nell’attesa della venuta del Signore nella gloria? Devo resistere agli inganni, discernere il bene dal male e poi praticare il bene nella condivisione, nell’accettazione dell’altro, nell’essere solidale verso la comunità dei poveri, dei disoccupati, degli esclusi che insorgono contro un becero neo-liberismo. Devo resistere perché “chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato”. È un programma che mi turba: sono io che dovrò ubbidirgli come Lui esige.
Dovrò stare nel mondo anche dentro queste situazioni difficili, senza fuggire, senza venir meno, anzi aumentando la mia solidarietà verso chi soffre. Perseverare nell’amore per contribuire a costruire un mondo migliore combattendo chi si rinserra nelle sue miserie.
Le uniche cose che posso fare è avere grandi idee, pensieri senza limiti, sperare l’impossibile. Ce l’ha promesso Gesù che attendo: “Grazie agli eletti, quei giorni saranno abbreviati”. Nell’attesa di quei giorni, mi rimboccherò le maniche.
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