“Bisogna che io faccia qualcosa. Ho certe cattive idee per la testa”.
È con questa battuta che Travis Bickle, protagonista del film universalmente riconosciuto come un classico della storia del cinema,Taxi Driver di Martin Scorsese, esprime la volontà di trovare con la violenza uno spazio all’interno del mondo che lo ignora. La stessa frase potrebbe essere stata pronunciata anche dal Joker dell’omonimo film di Todd Phillips, vincitore del Leone d’oro a Venezia. È innegabile che le pellicole siano collegate tra loro, anche per la presenza di Robert De Niro, che non solo interpreta il ruolo principale nel primo e quello di conduttore televisivo nel secondo, ma che è anche presente in Re per una notte, sempre di Scorsese, citato in modo esplicito da Phillips.Entrambi i film si concentrano sulla storia di due uomini soli e frustrati, prigionieri dei loro appartamenti angusti come bare, descrivendone la discesa verso la follia con tratti simili, ma anche con sfumature sostanziali molto diverse.
All’inizio di Joker, Arthur Fleck è un clown che non riesce mai a far ridere, nonostante professi più volte il desiderio di portare felicità alle persone. Al contrario, il suo lavoro è sempre collegato ad aggressioni, come nel prologo in cui un gruppo di ragazzini gli strappa il cartello pubblicitario che tiene in mano e lo picchia a sangue. Già la prima sequenza mostra un Joker che subisce, incapace di avere un ruolo incisivo nella società che alimenta in lui il sentimento di abbandono e solitudine.
Travis Bickle, invece, lavora come taxista, ma questo non significa necessariamente che sia meglio inserito nell’ambiente circostante. Infatti vive isolato, forse perché è frastornato dal nuovo mondo che ha trovato dopo essere tornato dalla guerra in Vietnam, forse perché si sente alieno dalla città scura e sporca che osserva dai vetri appannati del suo taxi. Pur non rinunciando a cercare un contatto con gli altri, si scopre ogni volta più solo. Risulta in tal senso emblematico l’appuntamento con Betsy, la segretaria dall’aspetto angelico del candidato alla presidenza Palantine; quandoTravis porta la ragazza a vedere un film pornografico, provocala sua reazione sdegnata, dimostrandosi estraneo a qualsiasi relazione sociale.
Il rapporto con le donne, che sono sempre immaginate da entrambi come la chiave per la salvezza, è problematico anche per Joker che immagina di avere una relazione sentimentale con la sua vicina di casa, ma deve scontrarsi con un sogno che non si realizza e che non gli può dare quella normalità desiderata. Inoltre non ha un punto di riferimento neanche nella madre perché scopre che la donna gli ha sempre mentito sulle sue origini di bambino adottato e che non è mai stata in grado di crescerlo. Questi elementi, sommati alla malattia psichica di cui soffre Arthur, costituiscono quindi il trauma che spinge il personaggio ad agire violentemente contro chi ha reso disperata la sua esistenza. Scaglierà la sua furia proprio contro chi lo ha umiliato, cioè il conduttore televisivo che aveva deriso un suo intervento comico, così penoso da essere ironicamente di successo.
Se per Joker il movente dei crimini è personale e si limita ai suoi problemi mentali e alle tragedie dell’infanzia, per Travis il motivo è morale. Infatti decide consapevolmente di assumere il ruolo di giustiziere sociale dopo aver visto una prostituta tredicenne, maltrattata dal suo protettore Sport. Il suo comportamento non trova giustificazione nel passato, come per Joker, ma nelle sue riflessioni di cui veniamo a conoscenza grazie ai lunghi monologhi: si sente circondato da corruzione e ipocrisia e,non sapendo gestire il suo tormento, lo proietta verso l’esterno uccidendo Sport in un atto catartico.
È vero che anche in Joker l’unico modo di incidere sul presente è distruggere, ma, diversamente dal film di Scorsese, la violenza è un passaggio obbligato. Non si tratta dunque di una scelta, come quella di Travis che pianifica di attentare alla vita di Palantine. La trasformazione di Joker in criminale è presentata come la naturale reazione ai soprusi subiti da bambino e da adulto, sempre escluso e in conflitto con gli altri, aspetto messo in evidenza dalle inquadrature di Phillips in cui Joker cammina sempre nel senso opposto, all’ospedale entra dall’uscita ecorre tra macchine che vanno nella direzione contraria.
Si può concludere che la rabbia e l’odio che sia Travis che Arthur nutrono nei confronti del mondo esterno sfociano in un climax di violenze, ma hanno esiti diversi. Travis viene scambiato per un eroe canonico, celebrato dai giornali come cittadino modello che lotta con criminali per salvare una ragazzina, ma rimane un folle omicida; lo spettatore è empatico ma ne riconosce le colpe. Invece Joker è sempre rappresentato come una vittima che costruisce la sua rivincita personale nel finale apocalittico in cui gli oppressi come lui lo elevano a idolo; lo spettatore è naturalmente portato a giustificare le sue azioni perché ciò che il film spinge a provare nei suoi confronti è pietà e non empatia.
Si trova la differenza tra i due in scene speculari in cui parlano allo specchio. Travis si rivolge a se stesso, si interroga sullo scopo della sua esistenza e progetta un modo per uscire dall’immobilità, mostrando una profondità psicologica. Arthur invece è truccato da clown perché dietro quella maschera non c’è una persona reale ma una vittima qualunque, che dà sfogo al suo rancore non per purificarsi o per fare giustizia, ma per punire e vendicarsi.
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