C’è del vero nel detto chiodo scaccia chiodo. Ciò vale per i pensieri, quando uno leggero viene sopraffatto da un altro a torto o a ragione riconosciuto più gravoso e impegnativo; vale per le malattie, forse, e vale anche per le notizie di cui si occupano i giornali e gli altri mezzi di comunicazione. È abbastanza noto il fatto che le nuove notizie, susseguentisi come le ciliegie, fanno sparire le precedenti, nella migliore delle ipotesi facendole cadere nel dimenticatoio, spesso in modo provvisorio o addirittura definitivo. E quasi mai si tratta di “buone notizie”, perché poi è altrettanto noto che la cattiva notizia prevale sempre sulla buona.
Si può affermare che la vicenda della persecuzione dei curdi insediatisi nella fascia di confine tra Siria e Turchia – di cui s’è parlato qualche settimana fa – possa rientrare in questa casistica, senza entrare nel merito delle dispute internazionali di potere – qualcuno li chiama giochi – tra le grandi potenze militarmente impegnate in quello scacchiere. Così che dai primi giorni in cui la notizia di quella rinnovata persecuzione curda da parte dei turchi e del loro premier Erdoğan si è passati, ed era inevitabile, dalle prime pagine alle pagine interne e talvolta anche al silenzio, non si sa quanto temporaneo. Gli accorati appelli e le violente accuse comparsi sui social nostrani, il cui termometro era schizzato subito verso l’alto, sono stati prevaricati dall’arrivo di nuove notizie, buone o cattive a scelta.
Dalla morte di un giovane ucciso con una pistolettata alla nuca – un fatto tuttora da decifrare, come altri ultimi e recenti – nel quartiere di San Basilio a Roma, ai risultati per eleggere la nuova giunta governativa dell’Umbria, all’uccisione presentata con orgoglio dal presidente Usa Donald Trump, a volte sotto schiaffo a volte no, del califfo dell’Isis Al-Baghdadi nel nord della Siria. Trump, in questa occasione, a onor del vero, ha cercato di recuperare qualcosa a sostegno dei curdi, abbandonati pochi giorni prima al loro amaro destino di vittime senza terra, con i soldati e la bandiera a stella e a strisce presi a pomodorate e a lanci di patate mentre lasciavano le zone di confine tra Siria e Turchia per lungo tempo presidiate.
È la stampa bellezza! osservava Humphrey Bogart nelle battute finali di un famoso film degli anni Cinquanta sulla forza del quarto potere. Sarebbe doveroso, tuttavia, fare anche qualche riflessione sulla sensibilità di tutti noi utenti dei mezzi di comunicazione, indipendentemente dalle notizie che si rincorrono nelle cronache e nella storia.
I genocidi, le persecuzioni non sono purtroppo una novità che induce a stracciarci le vesti e allo scandalo degli uomini probi. Un medico francese, Yves Ternon, qualche anno fa, in suo libro – Lo Stato criminale – facevo un elenco dei massacri del XX secolo dalla fine della seconda guerra mondiale a oggi: i serbi in Croazia fra il 1941 e il 1945, gli indù e i musulmani dopo la spartizione dell’India, i tibetani dopo l’occupazione cinese, i comunisti in Indonesia fra il 1965 e il 1966, i contadini indiani in Guatemala, le tribù indigene nel Mato Grosso, le popolazioni civili in Sudan durante la guerra del sud contro il nord, gli Ibo in Biafra durante la guerra nigeriana, gli indiani Aché in Paraguay, i cambogiani all’epoca di PolPot, le popolazioni civili della Guinea, dell’Uganda, del Bangladesh, del Timor, dell’Etiopia, della Birmania, i musulmani in Bosnia, gli hutu e i tutsi del Ruanda, del Burundi e dello Zaire orientale…
E v’è l’impressione che l’elenco pecchi per difetto. Per non dire della madre di tutti i massacri e i genocidi: gli ebrei da parte dei nazisti di Hitler (e non solo) nel corso degli anni della seconda guerra mondiale.
Non è che tutto si debba dimenticare, anche se non sempre ci sono stati i social a ricordare le efferatezze umane. L’Olocausto viene rammentato ogni anno con una Giornata della Memoria, cui segue – quasi a pendant – quella per ricordare le povere vittime italiane delle foibe da parte dei miliziani di Tito. Qualche film in tv, qualche celebrazione accorata, poi si ricomincia. Alla prossima.
You must be logged in to post a comment Login