Ho pensato a lungo a un termine italiano che rendesse l’espressione “dal vivo”.
Poi ho deciso: l’inglese “live” va benissimo per raccontare l’esperienza di educazione civica in diretta che ho vissuto lunedì sera durante il Consiglio comunale della città. Sono certa che sarebbe stata una lezione esemplare per gli studenti delle scuole di ogni ordine e grado.
Eravamo presenti in tanti, alla discussione sul conferimento della cittadinanza onoraria a Liliana Segre (proposto su RMFonline e a Palazzo Estense da Enzo R. Laforgia).
L’idea era nata dalla riflessione sullo stretto legame tra la senatrice Segre e la nostra città: un legame purtroppo carico di ricordi dolorosi per la tredicenne Liliana che di Varese conobbe solo il carcere, all’inizio del lungo viaggio che l’avrebbe condotta al lager di Auschwitz.
Lunedì 4 novembre è stata discussa.
Il timore del pubblico nasceva dagli esiti del voto con cui si era espresso il Senato per l’istituzione di una commissione voluta da Liliana Segre, senatrice a vita, prima firmataria, che l’aveva sollecitata con l’intento di costruire un dibattito costruttivo su razzismo e antisemitismo e per provare a contrastare le molteplici forme di istigazione all’odio.
Ebbene, la mozione al Senato era stata approvata con 151 voti a favore e 98 astensioni, queste ultime tutte riferibili a Forza Italia, Fratelli d’Italia e Lega.
Una premessa.
Considero, da sempre, l’astensione in genere una mancanza di coraggio, in casi come questo una sorta di vigliaccheria istituzionale, qualunque sia l’argomento su cui ci si astiene e a qualunque parte politica appartengano gli astenuti.
Se non sono d’accordo dico no.
Se concordo dico sì.
Quando non ho sufficienti elementi per esprimere un voto, mi informo, leggo, chiedo, combatto per ottenere tutte le spiegazioni necessarie a farmi un’idea che mi consenta di esprimere il mio parere in assoluta libertà e coscienza.
A meno che.
A meno che, per calcoli di bassa politica, non si voglia combattere pregiudizialmente una proposta, un’idea, un progetto. Solo perché nasce dall’altro, perché potrebbe facilitarlo, dargli lustro, metterlo in buona luce.
I 98 astenuti hanno scelto di non scegliere.
Per usare una parola a cui spesso ricorre la Segre, i 98 hanno scelto l’indifferenza.
Come se avessero dichiarato: l’argomento non ci interessa, non ci tocca, non ci riguarda.
“Indifferenza” è la parola scolpita a lettere cubitali nel memoriale della Shoah di Milano, al Binario 21.
È stata Liliana Segre a chiedere che fosse scolpita sul lungo e massiccio muro di pietra che accoglie il visitatore all’ingresso.
Ci si mette un po’ a compitare le dodici enormi lettere finché si riesce a leggere l’intera parola che colpisce come un gigantesco schiaffo.
Allora torna alla mente il racconto che la Segre fa della sua esperienza di bambina ebrea emarginata, quando avrebbe dovuto frequentare la terza classe a Milano ma a causa delle leggi razziali del 1938 quell’ottobre non poté ritornare nella classe dei suoi compagni, dalla sua maestra.
Non capiva il reale motivo del divieto nonostante le spiegazioni del padre.
Per tanti giorni attese che la sua amata maestra passasse da casa loro, pensando che le potesse dire qualcosa. Anche solo che le dispiaceva.
Ma ciò non avvenne.
Anni dopo, sopravvissuta al lager, Liliana ebbe modo di rivederla.
Le chiese perché non si era mai fatta viva, anche solo per una parola di solidarietà.
La maestra si giustificò: lei non aveva alcuna colpa della situazione e, comunque, “non avrebbe potuto farci niente”.
Così la Segre spiega ai bambini e ai ragazzi il significato di questa colpevole parola: indifferenza.
Ma torniamo a Varese, al Consiglio comunale.
La cittadinanza onoraria a Liliana Segre, lunedì 4 novembre 2019, è stata votata all’unanimità dei presenti, Lega e Forza Italia incluse.
Qualunque sia il motivo che ha fatto spinto o convinto i politici varesini a dissociarsi dai colleghi a Roma, che sia stato un calcolo di convenienza o un moto dell’anima, che ci sia stato alla base della decisione un anelito di coraggio istituzionale, mi dichiaro felice per la decisione assunta che li ha riscattati dalla vergogna dei senatori del loro schieramento, dalle loro pretestuose dichiarazioni.
Nella mia penna, meglio, nei tasti del mio PC,erano già pronte le parole del figlio di Liliana Segre, Alberto Belli Paci, racchiuse in una lettera inviata al Corriere e pubblicata domenica scorsa, 3 novembre.
Le voglio ricordare anche se non sono rivolte, grazie al cielo, ai varesini dell’opposizione in consiglio.
“ .. omissis… A voi dico: io credo che non vi meritiate Liliana Segre! Guardatevi dentro alla vostra coscienza. Ma voi credete davvero che mia madre sia una che si fa strumentalizzare? Con quel numero sul braccio, 75190, impresso nella carne di una bambina? Credete davvero che lei si lasci usare da qualcuno per vantaggi politici di una parte politica in particolare? Siete fuori strada. Tutti. Talmente abituati a spaccare il capello in quattro da non essere nemmeno più capaci di guardarvi dentro… omissis …”
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(n.d.r.) – Solo un Paese ad alto tasso d’inciviltà può costringere una donna con la storia di Liliana Segre a girare scortata. Ci si può, e ci si deve, solo vergognare.
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