Mi torna alla mente l’immagine fotografica che riproduce in centro città la splendida costruzione della sede originaria del Calzaturificio di Varese. È solo un vago ricordo per molti di noi, allora bambini, quella Varese bella ed armonica. Poi negli Anni Sessanta ecco l’abbattimento di diversi edifici di pregevole valore architettonico per fare posto alle “esigenze commerciali” del tempo. Sorsero così le sedi di grossi centri di distribuzione: di fronte alla Nord sulle rovine del calzaturificio, poco più avanti al posto degli storici Mulini Marzoli, in Piazza XX settembre a seguito dell’abbattimento di un intero isolato dove prima sorgevano il Panificio Clerici da un lato e l’albergo Ticino dall’altro. Avremmo potuto conservarli questi tesori, diciamo oggi, guardando con gli occhi di chi crede che il bello, quando c’è, va protetto, difeso, anteposto a qualsiasi altra contingente motivazione.
Ora la questione della possibile sistemazione della antenna telefonica sulla torre del Castello di Masnago a molti cittadini non piace. Certamente, come specifica un recente comunicato dell’assessore alla tutela ambientale del Comune di Varese, “…il gestore del servizio di telefonia… ha individuato la torre del Castello quale soluzione ottimale… La Giunta ha subordinato il proprio assenso alla tutela degli altri interessi pubblici, ovvero il vincolo storico-monumentale dell’immobile e del parco pubblico… ed ha posto la condizione che la singola antenna sia quasi impercettibile e inserita all’interno di un “piccolo contenitore” a forma di merletto, corrispondente per tinta e dimensioni a quelli del castello…”. Una soluzione che limita la possibile alternativa “bruttura” di una antenna che verrebbe posizionata, senza che l’Amministrazione possa impedirlo, magari in una casa o in un giardino privati, con tanto di palo a sorreggerla, sintetizza l’assessore varesino. Insomma “quest’antenna s’ha da mettere” e quindi si trova la soluzione di “minore impatto ambientale”. Ora, preferire che il Castello di Masnago sia invece preservato dalle impellenti “necessità” degli impianti di telefonia vuol dire pensare che con amore, con garbo, con convinzione sarebbe invece bello vedere, da parte di chi ci governa, la coraggiosa capacità di sostenere che il rispetto della tradizione, della storia locale custodita nei monumenti vengono prima delle esigenze degli imprenditori della comunicazione del terzo millennio. Anzi, dovrebbe diventare norma e cultura il fatto che sia il territorio semmai, con le proprie caratteristiche, a dettare le regole anziché subirle.
Il pensiero va quindi a quello splendore di architettura industriale e di edifici del centro città, sacrificati in nome dei bisogni della modernità negli anni Sessanta, perché anche allora è stata chinata la testa e oggi fatichiamo a capirne le ragioni, se non quelle meramente speculative. Poco importa se si proverà a mimetizzare l’antenna sulla torre medioevale del Castello, che pur farebbe meno orrore di quella enorme piazzata di fianco al Battistero romanico di San Giovanni in pieno centro o della fioritura metallica che svetta sul Grand hotel del Campo dei Fiori, di proprietà privata e non oggetto delle decisioni comunali, ma certo poco rispettoso della dignità artistica di un locale capolavoro del liberty. Sembra davvero un destino beffardo: nella nostra città, ogni caratteristico e peculiare patrimonio architettonico, di qualsiasi epoca, diventa ambita meta dei gestori di servizi telefonici. Per questo a lasciare perplessi è l’ordine delle priorità amministrative: la scelta del male minore, anziché la decisa e ferma volontà di iniziare a difendere il bello che Varese possiede. Ogni parco pubblico è il “giardino di casa nostra” per noi cittadini. Ogni palazzo pubblico è “la nostra casa”. Un modus pensandi che ancora è molto, molto distante. E che ci salverebbe anche dai finti merletti…
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