Una statuetta in legno che rappresenta una donna indigena incinta è stata rubata dalla chiesa di Santa Maria in Traspontina e gettata nel Tevere probabilmente da un gruppo di cattolici integralisti. La statuetta della Pachamama era parte della mostra nella chiesa di via della Conciliazione, a pochi passi da piazza San Pietro, insieme ad altri oggetti di arte e artigianato amazzonici allestita in occasione del Sinodo straordinario dei vescovi sull’Amazzonia, in corso in Vaticano.
A compiere il raid alle prime luci del giorno e mentre era in corso un momento di preghiera, sono stati alcuni attivisti ultraconservatori contrari alla presenza di quello che considerano un simbolo pagano: l’operazione è stata filmata fino al momento del lancio dell’oggetto nel Tevere e il video è stato postato sui social network. La “pachamama”, portata a Roma dai comboniani di Venegono, era stata esposta la prima volta durante la cerimonia tenutasi nei Giardini vaticani il 4 ottobre scorso per l’inizio Sinodo.
Fin qui la notizia riportata nelle pagine interne solo di alcuni quotidiani, ma senza particolare risalto. La Madre Terra rappresentata come una donna incinta è del resto comune a popolazioni di tutto il mondo, incluse molte di quelle che si affacciano sul Mediterraneo, a cominciare dalla Sardegna, e testimonia ovunque il sentimento religioso in epoche precedenti l’avvento dei monoteismi.
“Abbiamo appreso dai social network di questo gesto – commenta Paolo Ruffini, prefetto del dicastero vaticano per la comunicazione –. Posso solo dire che rubare qualcosa da un luogo, per di più sacro, è una bravata, un gesto privo di senso, che contraddice lo spirito di dialogo che dovrebbe sempre animare tutti: un furto che si commenta da solo”.
È incredibile la sottovalutazione che nell’opinione pubblica si è verificata rispetto a un atto che ci riporta allo spirito della caccia alle streghe e all’inquisizione, proprio nel momento in cui un grande pontefice apre a tutte le culture del mondo l’accesso alla spiritualità di cui è interprete convinto, prima che designato.
Devo ammettere con disappunto che la valutazione di Ruffini non mi soddisfa affatto o, perlomeno, non è in piena sintonia con la rivoluzione portata lungo le rive del Tevere dal Papa argentino. Non basta parlare di bravata, perché aggredire i simboli è sempre stato un atto di sfida di altissima pregnanza: una specie di messa all’indice e di avvertimento da imprimere nel sentimento popolare e da lasciare come ferita nei corpi che si ritengono violati nella loro identità che esclude, anziché includere.
È come dire che quel che è sacro per gli indigeni non lo è per la Chiesa che li accoglie e che la morale che colpirebbe qualsiasi atto “sacrilego”, ritenuto tale dai colonizzatori, non si applica ai colonizzati.
È evidente l’attacco a Bergoglio che spunta da questa interpretazione: gli unici oggetti sacri sono quelli destinati al culto del vero Dio, il Dio di Gesù Cristo e oggetti come quelli esposti durante il Sinodo panamazzonico sono idoli pagani e tali rimangono anche se gli indigeni, ingannandosi, credono altro. Eliminare quelle statuette, secondo questa indegna spiegazione, favorirebbe il culto come lo intendono gli integralisti e, quindi, sarebbe un atto buono, un atto di legittima difesa in favore della fede cattolica.
Abbiamo purtroppo precedenti orrendi da riesumare riguardo l’attacco o la difesa dei simboli e ne sanno qualcosa gli ebrei, gli antifascisti, quelli che oggi stesso aiutano gli emigranti a non soccombere alle onde che travolgono i gommoni o al freddo che inchioda trentanove persone in una cella frigorifera giunta in Gran Bretagna da chissà quale rotta. La misericordia invocata dal Papa riguarda anche la violenza perpetrata a mo’ di bravata dai blogger che hanno messo su facebook l’affogamento della Pachamama in acque – a loro dire – incontaminabili.
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