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Noterelle

RICORDARE

EMILIO CORBETTA - 01/11/2019

trascendenteMi è capitata sotto gli occhi una paginetta su cui avevo scritto, un paio di anni fa, alcuni pensieri quando morì un mio carissimo amico. Pensieri dolorosamente dolci, impregnati di nostalgia, di ricordi sereni, di immagini dolorose perché, come tutti sappiamo, la vita è così, è ricca di contrasti. Nello stesso tempo leggendo quelle righe mi sono tornate alla mente tante figure di altri cari: tutte persone amate, parenti o amici che hanno lasciato solchi indelebili nella memoria della mia personalità. Che ne è di loro? Perché questi ricordi? Perché questo bisogno di ricordare? Di cercare di rivivere? E nello stesso tempo in me la necessità di mormorare una preghiera? Molti di loro erano razionalmente onesti atei, molto rispettosi del prossimo per il quale si spendevano nello svolgimento della loro professionalità. Ma la necessità di pregare io la sento anche per loro. Magari anche solo un silenzioso intenso ricordo che scivola in un momento di preghiera. Devo precisare che ricordo non vuol dire ancora preghiera, e non vuol dire senso religioso. È solo, fisiologicamente, un semplice momento di lavorio delle sinapsi dei miei neuroni cerebrali che però fanno nascere in me quello che si definisce un sentimento, che “agita il cuore” – “una cosa di cuore” perché coinvolge tutto noi stessi. Il bisogno di preghiera viene dopo; quasi una ricerca di maggiore contatto. 

Mi viene alla mente la figura di un mio vecchio amico che dichiara di non avere fede, si proclama ateo, ma da quando è rimasto vedovo tutte le mattine è sulla tomba di lei a parlarle ed a suo modo a pregare, penso io.

Ricordo i discorsi di un noto matematico che si dichiara logico razionale ateo, che è bello ascoltare nelle sue razionali meditazioni e ragionamenti, ma che poi ammette che anche in lui, quindi anche nei cultori di fredda logica razionale, un senso religioso c’è, particolare ma c’è. Un senso religioso diverso dal mio emotivo, passionale ricordare che fa sorgere il bisogno di preghiera.

Devo comunque sottolineare che le due cose sono molto vicine, ma anche diverse e non fondate sul pensiero dell’esistenza di un Essere superiore creatore del meraviglioso universo in cui siamo collocati.

Su questo tema ognuno vive situazioni assolutamente personalizzate, perché sono tante le sfumature del credere, del vivere l’ateismo, tanti i modi di essere agnostici. 

Perché questo turbinare di pensieri? Se si ammette che c’è in noi un desiderio di trascendente, lo si deve coltivare oppure razionalmente lo si può negare o si può non prendere decisione in modo agnostico.

La cosa principale è però vivere onestamente il tema della vita, constatandone la unicità, per cui tutti noi abbiamo il dovere di fare in modo che tutti la si viva al meglio.

Questa unicità può farci cadere nel pessimismo, in sofferenza, ma anche al contrario può spingere a cercar di conquistare per sé tutto ciò che si ritiene “bene”, trascurando, penalizzando gli altri. Crudamente viene messo in atto il “mors tua vita mea”.

Ripeto: mi sembra che la logica ci dica che un conto è il ricordare gli amici e i cari scomparsi, ma altra cosa il sentire il richiamo del trascendente, il desiderio in noi d’infinito in contrasto col constatare la fine della vita, questa grande immensa e spesso dolorosa vita, unica! È questo il dramma: sicuramente è unica perché altro non riusciamo a dimostrare. È unico questo vedere e gustare il nostro paesaggio varesino inondato di luminoso sole, o in certi mattini d’autunno vederlo dolcemente brumoso con nebbie fumanti che salgono dal lago, dominato dalle lontane Alpi. È unico vivere accanto alle persone amate. È unico perderti negli occhi di chi ti ha donato la sua vita. È unico nei rapporti talvolta dolorosi della nostra società. È unico nelle grida gioiose dei nostri bimbi che si avviano giocando ad imparare la vita. È unico, e lo ripeto ancora, sentendo in me il desiderio d’infinito e di eterno. E mi viene una preghiera, intensa, quasi un urlo …anche di protesta e d’angoscia. Perché unico!?

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