E’ uscito un nuovo libro di Marco Zacchera, “Gente di lago: storie e racconti del Lago Maggiore”, che raccoglie in 164 pagine – tutte a colori – ricordi, personaggi, storie e curiosità della zona del Lago Maggiore e delle sue valli, insieme ad oltre un centinaio di foto storiche, quasi tutte inedite. Una testimonianza interessante della vita sulle rive del Verbano in tempi quasi dimenticati, un omaggio a chi è venuto prima di noi. Il volume è firmato anche da Carlo Alessandro Pisoni, Ivan Spadon e altri autori locali.
“Gente di lago” è in vendita a 18 euro, ma lo si può richiedere al prezzo ridotto di 16 euro (spese di spedizione comprese) o di 15 euro ciascuna se verranno richieste almeno 2 copie a marco.zacchera@libero.it ricordando di comunicare sempre l’indirizzo postale dove le copie vanno inviate.
Qui di seguito una sintesi del primo capitolo.
Si fa presto a dire “lago”, ma c’è un momento particolare in cui capisci quanto puoi amarlo e per me arriva verso l’alba quando – sistemate le reti, pulita la barca e circondato da un nugolo di gabbiani – riattacco il motore e finalmente me ne torno verso casa.
Mi sento addosso stanchezza e freddo nelle ossa, con i piedi gelati nonostante stivali e calzettoni, ma mentre mi stringo nel giaccone – sul lago la mattina presto fa sempre freddo, anche in piena estate – e mi coccolo con il caldo del motore mi guardo intorno e capisco come lo spettacolo sia davvero unico, sempre diverso, davvero un dono per pochi, il “mio” lago.
Di solito la pesca finisce quando albeggia e se il cielo è limpido le montagne di Laveno si stagliano buie e nette contro il cielo che si illumina svelto per l’aurora.
Con quel loro contorno aguzzo sembrano indici di borsa e sfumano nella caligine solo verso Malpensa. Di fronte, il Mottarone è invece già chiaro mentre là in fondo le Alpi, quasi sempre bianche di neve, tingono ormai verso il rosa.
Qualche volta l’ultimo quarto di luna si staglia bianco nell’azzurro mentre la scia bianca di qualche aereo ci ricorda che non siamo più ai tempi di quando la pesca era una cosa seria, certamente più faticosa e difficile di adesso.
Mentre rientro e tengo il motore quasi al minimo per godermi lo spettacolo e risparmiare benzina, il pensiero corre alla notte appena trascorsa e agli stessi gesti che prima di me hanno ripetuto – uguali ma diversi – tante generazioni di pescatori che mi hanno preceduto e li sento vicini, intimi, immaginandoli a guardare le stesse montagne anche se forse allora erano più solitarie e senza le troppe luci gialle dei lungolago che con il giorno che cresce si spengono una ad una.
Certo intorno è cambiato quasi tutto, per esempio di notte sono pochi i tratti di costa liberi dall’ eccessivo inquinamento luminoso che è ormai ovunque e così sono diventate rare e quasi invisibili perfino le stelle cadenti, che non lasciano la loro scia solo d’agosto ma in tutte le stagioni, anche se non hanno più uno sfondo scuro per potersi stagliare nel cielo.
Non si sentono più nemmeno i campanili a battere le ore perché durante la notte li hanno resi silenziosi: forse disturbavano il sonno, ma pescando facevano compagnia e soprattutto ricordavano agli uomini che il tempo comunque corre e va e – per ogni giorno che comincia – presto tornerà un nuovo tramonto.
Intanto il traghetto da Intra a Laveno o il primo battello verso Stresa tagliano l’acqua e le loro onde cambiano veloci i riflessi che come il cielo, momento dopo momento, hanno sfumature diverse.
A seconda delle stagioni e della posizione della barca il sole aspetta a mostrarsi ma si preannuncia con colori e luci che si spostano dietro le montagne mentre il rumore del motore si perde lontano come quello del treno di Luino, che – se l’aria è quella gusta – va e viene con un rombo che si spegne per ogni galleria.
Altre volte invece il lago al mattino è gonfio di vento e allora urla, schiaffeggia con le onde che si sfilacciano tra i cavalloni bianchi di spuma tanto che diventa difficile attraversarlo con il “Maggiore” o la tramontana che rotola giù dalla Svizzera e ti tocca infilarti veloce in qualche porto o in una darsena in attesa che cali la buriana.
Come i giorni della vita sempre diversi tra loro quelle albe piene di vento sono così diverse da quelle nebbiose, ferme o grigie di foschia che preannuncia la pioggia e tutto sembra trasformarsi fuori dal tempo come sospeso, leggero, impalpabile e nascosto.
Qualche mattina scende anche la nebbia e allora è facile perdersi. Una volta usavi la bussola per cercare le reti e capire dov’eri finito finchè improvvisamente non appariva l’ombra della costa e magari scoprivi di essere finito da tutta un’altra parte. Oggi il puntino blu del GPS sul telefonino è più semplice e sicuro, ma davvero tutta un’altra cosa.
Per me – che ho la barca a Pallanza – solo quando doppio il promontorio della Castagnola di solito arriva la pace, cala il vento, l’aria si fa più mite con il profumo dei tigli o dell’olea fragans a seconda della stagione.
In quel momento il lago si quieta, sembra voler finalmente lasciarti andare, con la barca che scivola leggera e pare correre più rapida passando vicino a riva.
Solo allora i gabbiani smettono di inseguirti con il loro stridio incessante e – uno ad uno – si posano sull’acqua mentre alla fine, mentre entri in porto, appare il sole tra gli alberi.
Sono momenti in cui penso sempre a tutti i pescatori che ho conosciuto e sono già andati avanti, li rivedo nella stessa luce e con gli stessi paesaggi, risento i loro toni di voce, gli odori della pesca, i caratteri.
Ormai è quasi un secolo che le barche da pesca sono a motore, più o meno dal 1930 quando il Regime li offrì a costo agevolato per favorire l’autarchia, ma le generazioni di prima ritornavano all’Isola a vela e mettevano ai remi la legione dei figli in barche più grandi e panciute delle nostre.
Ogni giorno tutte le reti erano da pulire e pareggiare, ma soprattutto da asciugare perché erano di cotone e non ancora di nylon e quindi non dovevano marcire. Una grande fatica mentre oggi lasci tutto in un cestone di plastica e se vuoi le riutilizzi direttamente l’anno venturo.
Sì, è davvero cambiato tutto nella pesca per qualità dei pesci autoctoni ed alloctoni così come per tanti altri aspetti della vita e certo non solo sul lago. Soprattutto è cambiato il rapporto di intimità, l’approccio con l’acqua di chi vive sulle sue rive e che troppo spesso il lago non lo guarda neppure e dà per scontati i panorami o i colori sempre diversi, anche perché adesso la bellezza dell’alba la vivono in pochi e forse tanti ragazzi non l’hanno neppure mai vista se non durante un ritorno dal pub.
Eppure basta un’angolazione diversa del sole, una nuvola, due dita di neve, un po’ di tramontana all’orizzonte per dare caratteristiche uniche ed irripetibili a quello che ti sta intorno e “annusi l’aria” che è sempre diversa.
Tutto oggi va più in fretta, le cassette per il pesce – così come gli attrezzi o le barche – sono di plastica o di polistirolo, quando una rete è rotta non la rammendi più, ma la butti via. Sono reti cinesi e sembrano quasi senz’anima, certo non sono più il patrimonio di famiglia che una volta non potervi certo permetterti di perdere o rovinare e infatti passavi le giornate a rammendarle..
Tutto un mondo girava intorno alle arie di lago. Quante volte ho sfogliato archivi ingialliti con i problemi e le liti di allora, in fondo però così simili ancora a quelli di oggi: litigi per i diritti di pesca, i tempi di messa a lago delle fascine, i periodo di divieto e i verbali infiniti di guardapesca scrupolosi.
Più recenti – ma sono carte ormai già quasi di un secolo fa – la corrispondenza che ancora conserviamo al Commissariato per la pesca con verbali di semine, rapporti, bollatura di reti e di attrezzi con mio nonno Felice Zacchera che (nel “1935 – XIII E.F.”) da buon segretario teneva nota di tutto.
Spesso mi sono chiesto perché la gente di lago guardi al mare con timore e quale fascino sottile ci lega invece alla nostra acqua, soprattutto se il lago ha comunque per grandezza – come il Lago Maggiore – una sua certa dignità.
Credo che ciò avvenga perché il mare sembra infinito mentre il lago è più simile alla vita degli uomini quasi a ricordarci sempre i nostri limiti, ma anche la necessità di proteggerlo e di non abusare prelevando troppo dalla sua dispensa, come per ogni risorsa naturale.
Per questo – come pescatore – spesso sono turbato davanti allo spreco di molti colleghi d’acqua salata, all’uso scriteriato delle reti e di attrezzi micidiali in troppe parti del mondo quasi a giustificare l’abuso, la pesca indiscriminata, l’eccessivo consumo di risorse: come in terraferma si distrugge per sempre e spesso neppure ci si pensa.
Sul nostro lago non è mai stato così, ci sono regole ma anche una coscienza da rispettare in un connubio tra uomo ed acqua che va avanti da millenni ed è sorprendente leggere di come già nel Medioevo c’erano controlli e limiti, divieti e regolamenti a proteggere la riproduzione dei pesci che rappresentavano una fonte alimentare importante per tutti, sicuramente ben più diffusa di oggi.
Controlli e buonsenso nella consapevolezza che quelle acque dovevano essere controllate e protette, amate – quasi – sia nei momenti di abbondanza che di carestia.
D’altronde il lago era tutto: via di comunicazione e di commercio, di traffici e di contrabbando, acqua da bere e pesci da mangiare, fonte generosa di combustibile raccogliendo la legna che le piene scaricavano a valle quando – raccolta ed asciugata – diventava preziosa riserva per l’inverno.
Si viveva di niente eppure si metteva sempre tutto da parte seccando il pesce d’estate e salandolo per consumarlo in inverno quando – abbrustolito su una fetta di polenta – serviva ad imbrogliare la fame della gente.
La pesca seguiva i suoi andamenti di stagione, i ritmi naturali che per millenni hanno permesso alle popolazioni rivierasche di godere di un reddito privilegiato, almeno rispetto alla ancora maggiore povertà delle montagne circostanti.
Certamente non potrebbe essere più così oggi, ma nell’era della globalizzazione e di internet si perdono anche le identità ed i caratteri, un patrimonio di esperienze preziose che si rischia di non trasmettere più a chi verrà dopo di noi neppure per le le caratteristiche più preziose.
Non so quanti alunni di scuola media della nostra zona conoscano oggi i nomi dei monti, dei venti, e dei pesci del loro lago, ma – quando ritorno da un viaggio in giro per il mondo e rivedo scorci e panorami – qualcosa dentro mi ripete sempre che qui sono le mie radici e che sono uniche, irripetibili e quindi che in qualche modo devi almeno ricordarle e farle ricordare.
Sono esperienze che fanno parte di ciascuno di noi e non puoi cancellarle perchè sono cose preziose, legate alla tua storia ed ai tuoi ricordi, anche se magari spesso quei protagonisti sono poi finiti tutti nel piccolo cimitero dell’Isola.
Per questo, quando ogni mattina il lago si sveglia e sto tornando in barca verso riva, sempre e almeno per un attimo i ricordi e quelle voci sembrano ritornare come una brezza leggera, come la rugiada che di notte raccoglie l’umidità dell’aria, ma si asciuga veloce al primo sole.
You must be logged in to post a comment Login