Gesù rivela un tratto sconcertante del suo mistero. Lo dice con una tesi e con un gesto: “Se uno vuol essere il primo sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti”: e preso un bambino lo pone in mezzo e lo abbraccia. Ecco la nuova gerarchia del regno: il primo è l’ultimo, è colui che serve, colui che sa abbracciare, come lui, gli ultimi della terra, i bambini. Anche l’abbracciare, il curvarsi di Gesù, sconcerta; è esattamente all’opposto di chi punta in alto per essere grande.
Una piaga nella vita di tante comunità è la disputa per arrivare ai primi posti. La storia si ripete: raccontano i Vangeli che “sorse fra loro una discussione su chi di loro fosse il più grande” (Lc 9,46). Sappiamo bene chi accende questa contesa anche all’interno della Chiesa. Ma forse bisognerebbe considerare che tutti i gruppi, prima o poi, conoscono questa “crisi”. Appena un po’ di persone si mettono insieme, cominciano a guardarsi gli uni gli altri, a giudicarsi, a classificarsi secondo un certo ordine. E con ciò, già ai primi passi della vita del gruppo, inizia una sottile, invisibile, spesso inconscia lotta…
Va detto in tutta onestà che nessuna comunità è immune dalla tentazione di fare la classifica per vedere chi è “maggiore” (più grande, più importante, più istruito, in una parola: chi è “superiore”). «È la lotta dell’uomo naturale per l’autogiustificazione. Egli trova se stesso solo nel confronto con gli altri, nel giudizio, nella critica del prossimo. Autogiustificazione e critica vanno sempre insieme, come giustificazione per grazia e servizio sono sempre uniti. Come è certo che lo spirito di autogiustificazione può solo essere superato dallo spirito di grazia, tuttavia i singoli pensieri pronti a criticare vengono limitati e soffocati con il non concedere loro mai il diritto di farsi largo, tranne nella confessione del peccato» (D. Bonhoeffer).
È regola fondamentale di ogni vita comunitaria proibire alle singole persone di parlare di un’altra in sua assenza. Non è permesso parlare dietro le spalle, anche quando le nostre parole possono assumere l’apparenza di benevolenza e di aiuto, perché, proprio così travestite, si infiltrerà sempre di nuovo lo spirito di odio per il fratello con l’intento di fare del male. Lì dove sin dall’inizio sarà mantenuta questa disciplina della lingua, ognuno potrà fare una scoperta impareggiabile: cesserà di osservare continuamente l’altro, di giudicarlo, di condannarlo, di assegnargli un posto preciso in cui lo si può dominare. Lo sguardo si allargherà e guardando i fratelli, con sua somma meraviglia, riconoscerà per la prima volta la gloria e la grandezza del Dio creatore. Dio crea l’altro a immagine e somiglianza di suo Figlio; anche il Crocifisso è un’immagine indegna di Dio, se non è compresa.
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