(S) E’ venuto il momento di metterti alle strette, di costringerti ad un chiarimento. Lo dico anche a nome di Onirio, che spesso incarna un modo di pensare opposto. Non che si possa dire che siamo nemici, siamo tutti e tre buoni cittadini e buoni (speriamo) cristiani, ma mostriamo sempre sensibilità diverse. Mentre io ed Onirio siamo sicuramente più coerenti, io realista, Onirio spiritualista, tu spesso ci sconcerti, passando da un estremo all’altro, talvolta invece cercando una specie di giusto mezzo, che però subito neghi come tua intenzione. Insomma, spesso ci lasci nell’incertezza, sembri gradire l’ambiguità più che l’espressione cristallina di una meditata convinzione.
(C) Rispondo volentieri a questa richiesta di chiarimento, anche se non sarà per te del tutto soddisfacente. Nemmeno io sapevo giustificare fino in fondo l’ondeggiare di certe mie simpatie culturali, religiose, politiche, artistiche. Amo i classici, m’ispiro alla tradizione, considero sperimentazioni vanesie molte mode contemporanee, tuttavia credo di essere molto attento ai cambiamenti in atto, nella cultura, nel costume, nell’arte e nella scienza. Anche nella politica non voglio tornare al ‘già vissuto’, anzi ritengo quegli schemi e quelle strutture inadeguate alle esigenze attuali. Insomma, mi riesce difficile ‘schierarmi’.
Per spiegare quello che a voi appare ‘ambiguità’, ho trovato non proprio una risposta esauriente, ma almeno un aiuto interessante, in una recensione offerta dal ‘Corriere’, di cui voglio darvi conto.
Qualche giorno fa nella rassegna stampa quotidiana, Elena Tebano (giornalista a me finora sconosciuta) ha riassunto un saggio critico su Saviano di Walter Siti, uno scrittore raffinato e un critico letterario coltissimo, curatore delle opere di Pasolini. “ Muove da un’attestazione di stima nei confronti di Saviano e dal riconoscimento dell’importanza delle sue denunce, per poi rispondere — attraverso un’analisi puntuale delle sue opere — alla critica che Saviano fa della «pura letteratura» e di coloro che si accontentano di «fare un buon libro, costruire una storia, limare le parole sino a ottenere uno stile bello e riconoscibile». È una ricostruzione lucida e importante del lavoro di Saviano. E insieme una difesa appassionata e bellissima del ruolo della letteratura, in tempi in cui l’intrattenimento (a dall’altro lato, la cronaca/denuncia) hanno eroso i suoi spazi. «Non credo — scrive Siti —che la letteratura sia mai stata “pura” (che cosa è più ‘impuro’ della Divina Commedia ?), né che sia una faccenda di letterati ben pasciuti, che cincischiano coi soprammobili mentre la casa brucia o discutono sul sesso degli angeli mentre i turchi assediano le porte. O peggio, che dicono di sì al padrone di turno. Credo invece che la letteratura, come la intendo io, sia un modo di conoscere la realtà non surrogabile da altri tipi di conoscenza; se sparisse dal mondo sarebbe come dover fare senza la chimica, o la storia. Ci sono emergenze sociali ed etiche, ma ci sono anche emergenze culturali.”
Non so se posso osare definirmi un letterato, come Siti, o un filosofo o uno storico almeno dilettante. So che quello che vorrei ottenere da chi legge le mie (e le vostre) considerazioni è lo stimolo a mettere in discussione la versione comune, generica, ovvia e, mettendo in discussione anche se stesso, a prezzo di una fatica personale, forse anche di una esperienza dolorosa, aprire la propria coscienza a nuovi orizzonti.
(O) Ma io credo di essere assolutamente mosso dal tuo stesso sentimento! Come pure Sebastiano.
(C) Non nego affatto le tue buone intenzioni e nemmeno quelle di Conformi, così come quelle di Saviano o di tutti i giornalisti e saggisti che fanno inchieste e denunce o, dall’altro lato, le suggestioni di poeti e filosofi. E’ vero però, come un paroliere fa cantare a Celentano, che “ci sono cantanti a cui non si può credere” e “poeti che non si può raggiungere”; questo vuol dire che la funzione educativa dell’intellettuale non può staccarsi né dai grandi maestri, né dal popolo minuto e deve usare di tutte le possibilità che la quotidianità gli offre. Siti conclude così il suo saggio: «Il maggiore obiettivo della letteratura non è la testimonianza ma l’avventura conoscitiva. E non è un problema di “purezza” ma quasi il contrario, di ambiguità: soltanto la letteratura, tra i vari usi della parola, può affermare una cosa e contemporaneamente negarla; perché ambigua è la nostra psiche, ambiguo il nostro corpo – le ambiguità rimosse possono portare a esiti controproducenti, a discussioni sterili. L’ambiguità, lo spessore, la polisemia fanno emergere quel che non si sa ancora; per questo la letteratura non può prestarsi a fare da altoparlante a quel che già si crede giusto». In sintesi, vorrei scrivere cose che aiutino ‘l’avventura conoscitiva’ di chi legge, al di là delle affermazioni di principio e della stessa testimonianza,
(S) Capisco bene che cosa vuoi dire. Ma c’è anche un altro modo di considerare l’apparente ostacolo alla conoscenza creato dalla pretesa di assolutezza che può e deve essere concessa solo alla verità. Se mi è permesso il paragone, è come dice il Vangelo di Nostro Signore, “sono venuto per i peccatori, non per i giusti”, eppure il Padre ci vuole “perfetti come Egli è”. Oppure, per stare più vicino al tema del linguaggio: “Perché parli loro in parabole?” Nel capitolo 13 del Vangelo di Matteo, a questa domanda dei discepoli, Gesù Cristo risponde in modo paradossale: “Perché a voi è dato di conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato”.
(O) Allora bisogna trovare una parola diversa da ‘ambiguità’, che è troppo parente di ‘menzogna’.
(C) Giusto. Ma non basta cercare una parola più appropriata. Quell’apertura di coscienza, che Gesù provocava nei discepoli ma che nemmeno lui otteneva nella folla, era dovuta ad un fattore speciale, che eccedeva la parola: la comunione di vita concreta. Anche per ‘gli altri’, come per i discepoli, c’era una possibilità: abbandonare il confronto dialettico, caro agli scribi e ai farisei, ed entrare in un rapporto di comunione col Maestro. Non è molto diverso per noi; se non facciamo l’esperienza della comunione ecclesiale, percorrendo con pazienza una strada comune, un percorso formativo guidato, ci areneremo sempre su contrapposizioni astratte, ideologiche. L’avventura della conoscenza, se vuole “far emergere quel che non si sa ancora”, ovvero “conoscere i misteri del regno dei cieli”, non può ridursi a dialettica di contrapposizione. Però, attenzione: non significa cadere nel relativismo, tra dogmatismo e relativismo non c’è il confine tagliente di un filo di rasoio, c’è uno spazio immenso, c’è tutta una vita da mettere alla prova. ‘Esperienza’ è forse la parola che più si avvicina a questa avventura della conoscenza.
(S) Posso concludere che stai cercando di dare un’indicazione di metodo anche per RMFonline? Non dovremmo forse essere tutti noi che ci scriviamo sopra meno attaccati al nostro punto di vista, come a un già dato ed aprirci ad un confronto con la realtà?
(C) Non è una questione di galateo e nemmeno, dal lato opposto, la pretesa di una identità dichiarata del giornale che si sovrapponga e sbiadisca quella dei singoli autori. Mi piacerebbe solo, pur consapevole dei rischi comuni a tutti i ‘blog aperti’, sviluppare una ricerca di valori e significati più esplicita, sia tra noi autori, sia con chi dei lettori fosse interessato a partecipare.
(S) Sebastiano Conformi (C) Costante (O) Onirio Desti
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