Luigi Ambrosoli era nato a Varese cento anni orsono, il 19 luglio del 1919. Insegnò molti anni nelle scuole secondarie in città. Storico, cultore del Risorgimento, ordinario di Storia moderna e poi preside della facoltà di Magistero all’Università di Verona, laico e socialista, è stato vicesindaco di Varese negli anni ‘ 70. Ho conservato il suo scritto che segue, degli anni ‘80 dove, con la sensibilità e le doti umane che lo hanno caratterizzato sempre, traccia anche un breve profilo di Ezio Bresciani, suo allenatore di una breve stagione agonistica in atletica e poi, quasi trent’anni dopo, allenatore ma anche un secondo padre per chi scrive. Bresciani era anche maestro di ironia, con spiccate doti di sintesi, fulminanti. Conservo una sua tabella di allenamento, illeggibile, scritta con un pennarello, nero, ma casualmente, sul bordo della pagina di un quotidiano. Ezio Bresciani fu scopritore ed allenatore di molti nostri atleti azzurri, alcuni varesini: Ito Giani nella velocità, Massimo Begnis nel mezzofondo e 3000 metri siepi, e di chi scrive. Era amico fraterno di “Tai” Missoni, grande imprenditore ed ostacolista in gioventù. Si correva nei primi anni ’60 con la maglia della gloriosa Ginnastica Gallaratese. Interessante l’elenco degli “atleti“ che Luigi Ambrosoli fornisce: tra questi, molte menti eccelse. E ‘ quindi questo un sincero omaggio a due uomini a mio giudizio fuori dal comune,per molti versi, che non a caso sono stati anche amici e compagni di una breve stagione felice. Ecco l’articolo firmato a suo tempo da Luigi Ambrosoli.
“I miei ricordi di sportivo praticante ( non di spettatore sportivo) sono modestissimi: i risultati ottenuti furono di una poco incoraggiante mediocrità; il periodo di attività fu quello, brevissimo, compreso tra il conseguimento della maturità classica e lo scoppio della guerra. Non mi mancava la passione, ma le doti naturali non la sorreggevano a sufficienza. In compenso mi divertivo e quasi tutte le sere, dalla primavera all’autunno, raggiungevo il campo sportivo di Masnago e percorrevo con molta umiltà il numero di giri stabilito dell’allora durissima pista podistica dello stadio; mi facevano compagnia altri aspiranti atleti mentre Ezio Bresciani, dietro le spesse lenti da miope, osservava con attenzione e non mancava di offrire i suoi consigli e di esprimere i suoi giudizi.
Bresciani è persona che ricordo con particolare simpatia; veniva da Milano dove aveva gareggiato nelle prove di mezzofondo senza brillare moltissimo, poi era diventato allenatore e come allenatore aveva, a mio avviso, non comuni capacità tecniche ed umane. Possedeva una buona cultura ed era particolarmente interessato alle arti figurative; era parente di un noto pittore lombardo tra le guerre, Archimede Bresciani da Gazoldo, ma guardava soprattutto alla pittura meno tradizionalista. Era stato chiamato a Varese da qualche organizzazione fascista (probabilmente la GIL) ma non lo sentii mai fare propaganda fascista o fare discorsi esaltanti nei confronti del regime; era, al contrario, molto cauto e reticente sull’argomento. Eravamo diventati amici, c’incontravamo anche fuori dallo stadio e non aveva difficoltà a raccontarmi dell’esistenza, a Milano, di gruppi antifascisti ai quali appartenevano persone che diceva di conoscere, tra le quali il pittore Aligi Sassu; notizie che mi venivano confermate da compagni di università con i quali, nel cortile della vecchia sede dell’ateneo statale milanese in corso di Porta Romana, si parlava sempre più frequentemente di questi argomenti. Bresciani accennava a gruppi di antifascisti con estremo distacco, senza esprimere un giudizio preciso a favore o contro di essi quasi intendesse riflettere ad alta voce su un problema che probabilmente lo assillava. In lui si manifestava forse, ma sono considerazioni fatte a distanza di molti anni e possono essere errate, la crisi della prima generazione formatasi sotto il fascismo che cominciava ad avvertire le contraddizioni del regime e non sopportava l’oppressione dello Stato totalitario. Chi furono i compagni di quella brevissima parentesi “atletica”?. Ricordo Franco Toia, Giuseppe Stabilini, Luigi Vermi, Elso Varalli ( attuale sindaco socialista di Sesto Calende), Silvio D’ Arco Avalle (professore universitario e direttore della Accademia della Crusca a Firenze), i fratelli Sarafin e Inglese di Busto Arsizio, Umberto Caruso, Cova di Somma Lombardo ( gran giocatore di rugby, oltre che atleta, nell’Amatori Milano), Guglielmo Borroni e gli “ stranieri “, il veneto Legnaro, il ferrarese Taddia, lanciatore di martello; Cultrone, proveniente da non so quale provincia del Sud, scrupolosissimo negli allenamenti. Avrò sicuramente dimenticato molti altri nomi di compagni di una stagione sicuramente felice.
Così, per due anni, l’atletica occupò il mio tempo libero. Bresciani era stato facile profeta nell’affermare, scrollando la testa, alla fine dei miei pur puntigliosi allenamenti, che non sarei andato molto lontano; mi fece anche cambiare specialità e, forse per convincermi a desistere, volle che provassi i 400 ostacoli, prova in cui, nonostante mi battessi allo spasimo, non riuscii mai a scendere sotto il “ muro “ dei 70” !
Per questo, oggi, quando vedo correre Moses, mi sento terribilmente mortificato.
Sono convinto, senza alcuna compiacenza retorica, che l’atletica, nonostante gli insuccessi, abbia contribuito alla mia formazione: l’esigenza dell’impegno, entro i limiti delle proprie capacità, la lealtà, la tolleranza, la comprensione dei problemi altrui, il superamento delle distinzioni sociali sono convinzioni maturate in me in quegli anni anche con il contributo non irrilevante della breve militanza sportiva”.
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