Conte sa bene che il suo destino di premier è appeso non a uno, ma a molti fili. Tutti fragili. Se ne preoccupa peraltro meno di quanto si pensi. E di quanto pensino i suoi partner/avversari, che lo sorreggono oggi seppur pronti a farlo precipitare domani. La tranquillità deriva dall’esito di periodici sondaggi: confermano che la leadership dell’inquilino di Palazzo Chigi incrocia il gradimento di molti italiani. Non come qualche mese fa, però sempre d’una consistenza tale da collocarlo al primo posto nella classifica dell’appeal politico.
Forte di ciò, Conte è pronto a rigiocarsi la terza partita, se sarà necessario. Ovvero nel caso in cui Renzi piuttosto di Di Maio o di Zingaretti decidesse di staccargli la spina. Altro che ritiro: il presidente del Consiglio, ormai aduso al ruolo, scenderebbe in campo per succedere ancora a sé stesso. Fantasie? Mah. A suggerire l’ipotesi di nascita del PdC (Partito di Conte) è l’agilità manovriera del personaggio, da tempo itinerante con passo felpato tra le stanze e i corridoi degli ambienti ex/post democristiani. Lì è il luogo dov’egli immagina di parcheggiare la sua figura politico-istituzionale nel futuro prossimo. Ne sono testimonianza episodi recenti. Per esempio le ovattate chiacchiere con le eccellenze clericali, protette dai muraglioni vaticani; l’incontro avellinese con i residuali esponenti della Dc entrata nella storia (De Mita, Mancino, Bianco, Mastella, Rotondi); alcune dichiarazioni di rivelatrice nettezza, tipo “Mi ispiro a Moro” oppure “Ho una formazione da cattolico democratico” o ancora “Serve un potente risveglio dei cattolici dal torpore” o infine “Ci vuole, come suggeriva Scoppola, una rinnovata democrazia dei cristiani”. Per non dire del vis-à-vis con Maria Romana De Gasperi, figlia del mitico Alcide, giusto nel giorno in cui scoppiò la crisi innescata da Salvini. Conte salì al Quirinale, per poi rapidamente discendervi e render visita all’erede dell’icona scudocrociata.
L’uomo ha compreso che quello è lo spazio oggi occupabile, causa l’incapacità, il disinteresse, la miopia altrui. E difatti fu il primo a esprimere pubblica attenzione quando il segretario di Stato di Bergoglio, cardinale Parolin, rese esplicito un richiamo caro al Superiore: i cattolici non si sottraggano alla politica. Conte ebbe un immediato riflesso d’attenzione, assai apprezzato Oltretevere. La reciproca stima s’è consolidata e han ricevuto impulso i rapporti con i cattolici che in passato alla politica non si sottraevano.
È quest’alleanza sottaciuta e in filigrana che lo rende sicuro di non soccombere agli agguati eventualmente a suo danno tesi. Se però il mondo Cinquestelle -al quale egli séguita a esprimere fedeltà- dovesse esplodere a causa d’un possibilissimo big bang, Conte si sentirebbe libero di scegliere un destino diverso. Gli sponsor dell’inedita avventura non mancherebbero all’Avvocato dei popoli italiani, talché ormai così vien da identificarlo, a causa della disinvoltura con cui transita da un “contratto” all’altro. Forse non per sbaglio l’immaginifico Trump ne storpiò il nome in Giuseppi. Ci sono stati un Conte 1 e un Conte 2, e magari ci sarà un Conte 3. Dunque la fila dei Giuseppe s’allunga. Giuseppe? Giuseppi. Tutti iscritti al PdC.
ps
Grillo che vuol togliere il voto agli anziani compie un gesto umanitario. Finché possono, gli conviene disertare le urne.
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