La cappella di Saxa Rubra è in fondo a un corridoio lungo e stretto. Per raggiungerla si costeggiano grandi vetrate che danno su postazioni e computer deserti. Manie di grandezza di passate direzioni. Nel grande villaggio globale Rai dove lavorano oltre 3000 persone alla periferia della capitale, anche fisicamente la presenza del Cristo è ai margini del penultimo palazzo.
C’è un bar di lato e poi ascensori e locali tecnici. Bocchettoni per l’aria condizionata e faretti tv. La statua di una Madonnina di Lourdes (per la cui posa ci furono anche proteste di alcuni dipendenti) vigila sulla piazzetta antistante. Di fianco furgoni con il marchio Rai e antenne paraboliche sonnecchiano pigre.
A Saxa Rubra però si lavora: ogni minuto il Paese viene inondato da notizie, filmati, tweet, onde radio, agenzie, telefonate, reportage, interviste, fiction. È un crocevia della comunicazione. “La più grande fabbrica di cultura” ripete immancabilmente ogni nuovo ministro incaricato. Una produzione dell’invisibile dove ogni giornalista si sente migliore dell’altro, ciascun tecnico ha sempre un motivo per criticare la gestione del suo reparto, ogni impiegato per lamentare la sua sotto utilizzazione. Insieme alle notizie la Rai produce migliaia di recriminazioni, liti, frustrazioni.
Prima dell’arrivo di don Antonio la cappella era un po’ così: ci si andava per sfogarsi davanti al Crocifisso. Per lanciare quell’insulto che non potevi dire in pubblico, per invocare la protezione dei santi di fronte a un nuovo, improvviso cambio di direzione, per recitare una decina di Avemarie per la malattia di un collega. La Messa domenicale, officiata dal parroco di un quartiere vicino, il labaro, ascoltata pensando al prossimo giornale da fare e agli impegni della giornata.
Soltanto dopo alcuni mesi dalla nomina del nuovo incaricato dieci anni fa, ci si accorse però che quel sacerdote c’era. Non uno che passava in fretta un’ora alla domenica: Lo si poteva incontrare in cappella nei pomeriggi della settimana. Confessava, favoriva la recita del rosario, proponeva ai dipendenti on line una meditazione alle letture della domenica.
Intorno a quel suo ‘esserci’, nei tempi liberi lasciati dal suo lavoro Vicariato, gli sparuti cattolici (che pure a Saxa Rubra non mancano, ma guai a farlo sapere in giro) cominciarono a guardarsi negli occhi. Qualcuno iniziò a recitare le lodi alla mattina. Altri a seconda dei turni a vedersi al pomeriggio. E don Antonio c’era.
Poi sono venute le gite (a Assisi o nel Lazio), i pellegrinaggi (in Terra Santa o a Medgjugorie). Si è ripreso il coraggio di una presenza nel posto di lavoro: pranzi con i colleghi, proposte di incontri e convegni. Si invitava il sacerdote in redazione per la benedizione di Natale. E lui veniva.
La vita della cappella ha seguito i ritmi dell’anno liturgico. La costruzione del presepe nell’Avvento. La sua scoperta a Natale. La processione delle Palme e i riti della Settimana santa. Il rinnovo delle promesse battesimali. La gioia della Pasqua e della Pentecoste. La lotteria dei Santi il primo dell’anno Dal fondo la figura di Padre Pio sorride nella sua austerità.
Anche le prediche di don Antonio via via sono cambiate: la riproposizione delle verità della fede si è arricchita di fatti, aneddoti, episodi di vita lavorativa in cui ciascuno poteva facilmente riconoscersi. Frutto delle decine di incontri che il sacerdote aveva con giornalisti, tecnici, impiegati cui restituiva il significato di un lavoro spesso spersonalizzato.
La Rai è nata nel suo germe da una intuizione cattolica. Quel seme poi è stato lasciato cadere, come nella parabola evangelica, in mezzo ai rovi di progetti politici e delle ambizioni personali. Questo ha generato nei dipendenti una grande solitudine. Don Antonio lo ha capito. A lui il merito di averci fatto re-incontrare l’unica persona che val la pena conoscere: Gesù Cristo.
Ora è stato chiamato ad altro incarico. Per noi di Saxa Rubra il compito di ricominciare. Come sempre d’altronde nella vita.
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