Non è sbagliato pensare che il Conte 2 abbia vita medio-breve. Riuscirà (merito importante) a fare la legge finanziaria evitando al Paese il caos e procurandogli misure d’aiuto sociale, ma faticherà ad andare oltre. Ne sono indizio gli attacchi a mitraglia di due dei quattro azionisti del governo, Renzi e Di Maio. Il primo alla ricerca d’una riabilitazione politica dopo il ko referendario del 2016 e l’addio alla segreteria del Pd, il secondo sotto shock perché abbandonato da Salvini e inguaiato dall’imbarazzante faida interna al suo partito.
Ex nemici giurati, i due scoprono un’insidiosa amicalità nel mirare al presidente del Consiglio. Di Maio lo considera un usurpatore del ruolo ritenuto adatto a sé, tanto più in presenza della tentazione avanzatagli in agosto dal capo della Lega; il secondo lo giudica una figura minore, capitato per caso/astuzia nella stanza maggiore di Palazzo Chigi. Dunque inadeguato a rivestire una carica meritevole di ben diversi talenti.
Gettate le basi del governo post-leghista, Renzi e Di Maio danno l’impressione di volerlo demolire tirando picconate a turno, qui e là, un giorno l’uno un giorno l’altro, sempre intestandosi la sortita in nome dell’interesse collettivo e però non riuscendo a celare la convenienza privata. Privata nel senso che non dispiacerebbe a entrambi il siluramento di Conte, essendo egli (1) un pericolo per la traballante leadership pentastellata di Di Maio e (2) un impedimento per la strategia di riconquista del Paese attribuita a Renzi.
Sicché dietro le quinte va accreditandosi l’ipotesi d’una verosimile caduta di Conte, che va sperperando il credito accordatogli all’indomani dei saluti a Salvini. Le critiche dal mondo imprenditoriale e da numerosi versanti della società civile s’accompagnano all’insofferenza di frange parlamentari (“responsabili” vari, provenienti da Pd e Forza Italia) inquiete sul loro destino, e pronte a spostare le tende nell’accampamento valutato come più sicuro. Questo non significa tifare per la chiusura anticipata della legislatura e il ritorno alle urne, ma guardare a un possibile governo 3 dopo il Conte 1 e il Conte2. Naturalmente non più guidato dall’Avvocato del popolo italiano. E neppure da chi sarebbe malvisto per aver già atteso all’incombenza. Nell’eventualità d’un “ter”, meglio la carta dell’esordiente, sia pure con discussi precedenti in significativi ruoli dell’esecutivo.
Ecco perché non ci sarebbe da meravigliarsi se l’idea-fantasy, da parte di Renzi, fosse d’offrire a Di Maio (appena rivalutato da Franceschini) ciò che aveva in animo d’offrirgli Salvini: proprio la presidenza del Consiglio. Il progetto reclama un’intitolazione provocatoria: “Patto di realtà”. Un modo per riconsolidare i Cinquestelle, accrescere il ruolo condizionante di Italia Viva, assegnare una poltrona ministeriale al Senatore di Firenze, costringere il Pd ad essere della partita per non rischiare di schiantarsi nel caso di restituzione della parola agli elettori. Evento che consegnerebbe al centrodestra, probabile vincitore delle nuove elezioni, la chiave d’apertura del Quirinale al prossimo capo dello Stato, nel 2022. In settant’anni e più di Repubblica si sono viste giravolte, capriole, ribaltoni spettacolari e ripetuti: è vero che l’allungamento della lista non accorcerebbe la distanza tra Palazzo e cittadini, ma neppure sortirebbe il contrario. Ormai siamo mitridatizzati a simili veleni, e al massimo ce ne stiamo a casa invece d’appecoronarci all’ingresso d’un seggio elettorale.
Ps
A proposito di urne. Il taglio demagogico dei parlamentari comporterà una nuova elegge elettorale, cioè il proporzionale che privilegia la rappresentanza alla governabilità. Favorendo così giochi sempre più di Palazzo, altro che il potere dei cittadini. Non sapremo, votando tizio, se poi si alleerà con caio, sempronio o chissà chi altro. Il tutto per un risparmio risibile: 0,007 per cento sul bilancio dello Stato. Né le procedure legislative si accelereranno: solo l’eliminazione del bicameralismo perfetto lo permetterebbe, ma nel 2016 fu bocciato. Cin cin
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