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Società

BANDIERA E CAMPANA

ANTONIO MARTINA - 04/10/2019

bandieraSono testimone di un vissuto ricco di speranze, soddisfazioni e voglia di futuro. Ad Azzate, al di là del lago, in un appartamento della Villa Passerini, dove durante il periodo estivo venivano anche alcune famiglie di Milano per la villeggiatura, il cortile era costantemente frequentato da molti ragazzi. Di quel gruppo racconto alcuni comportamenti di gioco, di scuola, di quanto accadeva nella seconda metà degli anni ‘50.

Eravamo più o meno coetanei e studenti delle ultime classi elementari e delle scuole medie. Tra i giochi preferiti spiccava il classico “bandiera”; chi gestiva quei momenti teneva in mano un fazzoletto e chiamava due contendenti per volta, chi riusciva a prendere per primo il fazzoletto e tornare al proprio posto vinceva. Poi era la volta del “nascondino”, dopo la conta per individuare chi stava “sotto”, gli altri avevano la facoltà di nascondersi nei luoghi più impensati, il malcapitato doveva cercarli con il rischio che l’ultimo liberasse tutti; da non dimenticare “mosca cieca”, il ricercatore bendato doveva intercettare gli altri e riconoscerli. Le ragazze tentavano, con insistente frequenza di giocare a “campana” ma durava poco, considerata la prevalenza maschile.

Giusto per ricordare lo spirito competitivo sempre presente, oltre le corse in bicicletta le altre gare riguardavano: l’utilizzo delle biglie di vetro o di celluloide, oppure i tappi delle bottiglie di bibita opportunamente aggiustati con il doppio sughero e la foto della faccia di un corridore ciclista ritagliata dalle figurine.

Per completare l’argomento giochi annoto quello della “bottiglia”, tutti seduti in cerchio per terra, al centro una bottiglia da ruotare e chi veniva indicato dal posizionamento del collo, doveva dichiarare il tipo di penitenza da subire, potendo scegliere tra: dire, fare, baciare, lettera o testamento. Poi quello delle “sedie”, la “caccia al tesoro”, chi “ride prima perde”. Ovviamente con molte attività di movimento accadeva spesso che ci fossero piccoli infortuni curati sistematicamente con il magico streptosil penicillina.

Fatta eccezione per le case in uso ai benestanti, le altre abitazioni non avevano il riscaldamento e l’unica fonte di calore proveniva dalla cucina economica. D’inverno si metteva nel letto la borsa dell’acqua calda. All’ora del caffè dovevamo macinarlo con l’apposito attrezzo di legno e ferro. Per telefonare si andava al “posto telefonico pubblico” e nelle prime cabine si usavano gli appositi gettoni. Per porre rimedio alle zanzare si spruzzava l’americano DDT, lo strumento utile per pesare era la “stadera”, per incollare pezzi di carta usavamo la “Coccoina”, l’acqua minerale non esisteva ma per ottenerla, ricca di bollicine, si usavano le bustine di Idrolitina o di Frizzina. Per acquistare le “cicche” utilizzavamo apposite macchinette che distribuivano una pallina per volta.

A scuola andavamo soli o in piccoli gruppi, tornavamo soli e sempre a piedi; quando entrava l’insegnante ci alzavamo, salutavamo e poi recitavamo una preghiera; se la maestra ti dava una sberla meritata la mamma te ne dava due; una nota sul quaderno significava il terrore; le ricerche si facevano rigorosamente in biblioteca; in quinta elementare dovevamo sostenere i primi esami e in terza media quelli successivi. Le notizie e la musica venivano diffuse dalla radio, straordinari apparecchi di legno con le indicazioni delle stazioni emittenti corrispondenti al nome delle relative città.

Quando arrivò la televisione, ovviamente in bianco e nero, ci riunivamo in casa del fortunato possessore di quella strana scatola per vedere i telefilm di Rin Tin Tin e qualche volta, di sera, il programma pubblicitario “Carosello”. Per fotografare serviva una macchinetta dedicata, ad esempio la Comet, al cui interno si posizionava un particolare rullino per 20 o 36 pose, le operazioni finali di sviluppo e stampa erano eseguite dai fotografi nei loro laboratori. Subito dopo le scuole medie, si apriva un mondo completamente diverso. Si organizzavano feste da ballo in casa con il recupero di dischi e giradischi, la macchina da scrivere era la Olivetti “Lettera 22”, i più fortunati si muovevano utilizzando il Velosolex, una bici a motore, ci si poteva muovere in famiglia con la Seicento Multipla, oppure col treno. Un modello particolare era la Littorina. Naturalmente, per tutti noi, un periodo di grandi cambiamenti, indimenticabile!

Come già accennato c’era la consapevolezza del futuro, quella tipica che accompagna i giovani, ma non pensavamo né alla pianificazione né alla programmazione delle azioni da intraprendere. Oggi che viviamo nella quarta rivoluzione industriale, con l’intelligenza artificiale che si espande a vista d’occhio, pensiamo sia indispensabile avere una visione prospettica almeno ventennale per lavorare sulla necessaria e indispensabile formazione del capitale umano. Questo va chiaramente detto ai giovani e ancor di più, a coloro i quali si assumono le responsabilità dell’esistenza e della crescita delle persone.

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