Sui social e sulla stampa è passata in sordina la risoluzione del Parlamento Europeo del 17 settembre scorso “sull’importanza della memoria europea per il futuro dell’Europa”. Al contrario, molto vivace si è dimostrato il dibattito suscitato negli ambienti accademici a opera di valenti storici.
La risoluzione, in questo caso, è una raccomandazione del Parlamento Europeo rivolta agli stati membri perché istituiscano il 25 maggio di ogni anno, anniversario dell’esecuzione del comandante polacco Witold Pilecki, eroe di Auschwitz e della resistenza antisovietica, giustiziato a Varsavia nel 1948, la “Giornata internazionale degli eroi della lotta contro il totalitarismo”.
Se non andiamo errati qualcosa di simile aveva proposta anni fa la Commissione Europea. Questa volta il progetto è partito dal folto gruppo di deputati dei paesi dell’Europa orientale facenti parte dell’ex blocco sovietico.
Il titolo della raccomandazione parla di “memoria”, non di storia. La memoria si medita. La storia si studia. La memoria acquista un significato per la vita, lancia dei messaggi, disegna degli itinerari. La memoria è inserita in un’identità, vive in una dinamica che deve portare ad uno sviluppo. La memoria è la migliore difesa contro ogni guerra e contro ogni totalitarismo. Alcune democrazie rischiano di diventare fragili proprio perché sono malate di amnesia.
La storia, al contrario, ha bisogno di risalire alle fonti, ai documenti, ha bisogno di essere confrontata e, soprattutto, non può essere decisa per via legislativa. E non è mai manichea: tutto il bene da una parte, tutto il male dall’altro.
Acquistare conoscenza della storia vuol dire abbandonare la passionalità e la partigianeria, possedere misure di valutazioni che ci possano inserire con competenza e con più attenzione nella cronaca d’oggi. Con la caduta del mito della storia come l’abbiamo studiata noi da giovani e come è stata interpretata dagli idealisti, con l’inefficacia di un certo storicismo storico o di un miope evoluzionismo, si dovrebbe riscoprire e acquisire sempre più una portata sociale, superiore ad ogni dialettica e ben più vitale di ogni fenomeno economico e sociale.
La risoluzione del Parlamento Europeo ha una buona intenzione: ricordare tutte le vittime di tutti i totalitarismi al fine di portare i paesi ex-sovietici su posizioni più europeiste, ma ha preso una pessima decisione: la parificazione dei due maggiori totalitarismi, il comunismo e il nazismo. È su questa decisione che si sono aperte le polemiche. È da condannare il comunismo sovietico come totalitarista e liberticida, ma questo giudizio non può estendersi a tutta l’esperienza del comunismo europeo che prese le armi assieme ad altre forze antifasciste e antinaziste, nelle resistenze nazionali, né si possono dimenticare i venticinque milioni di soldati dell’Armata Russa che si unirono agli alleati per liberare l’Europa dalla mostruosità schiacciante di un mito.
Sul piano ideologico, il comunismo sovietico è stata la degenerazione della richiesta di emancipazione dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo; il nazismo al contrario la divisione del genere umano in razze con il pianificato sterminio da parte di una sulle altre.
Anche Primo Levi nell’appendice di “Se questo è un uomo” scrive:” I lager tedeschi costituiscono qualcosa di inedito nella pur sanguinosa storia dell’umanità: all’antico sogno di eliminare o di terrificare gli avversari politici, i nazisti affiancavano uno scopo moderno e mostruoso, quello di cancellare interi popoli e culture”. Lager e gulag non sono la stessa cosa: nei primi si uccideva per la razza, nei secondi per le posizioni politiche; nei primi si mandava a morte in nome di un’ideologia impregnata di razzismo, nei secondi ci si uccideva fra uguali.
La risoluzione del Parlamento Europeo sbandiera i feticci del comunismo e del nazismo al fine di formare un’identità “martire” nei popoli dell’est soggiogati per anni dall’imperialismo sovietico e, Dio non voglia, per giustificare la loro posizione nel difendere oggi i sacri confini della loro patria dall’invasione di profughi.
Così, per esigenze politiche, per propaganda di parte, la storia ritorna ad acquistare polemica e faziosità, mentre la storia ha il compito di far prendere coscienza alle nuove generazioni quanto di tragico i due totalitarismi abbiano provocato e come sia necessario evitare di cadere negli stessi errori e nelle stesse rivalità.
È certo che le posizioni antistoriche e assurde non dovrebbero avere ragione di essere spiegate in una risoluzione parlamentare che ha il fine di educare e favorire la partecipazione dei cittadini europei alla vita dell’Unione e alla custodia della sua memoria. Mentre si sta facilitando l’unificazione non solo economica dell’Europa è bene parlare della sua storia, ma con spirito critico e spassionato. I fili spinati e le frontiere erette per fermare la presenza di uomini e donne che scappano da guerre e dalla miseria dovrebbero apparire antistoriche a chi le erge.
A un giornalista che, al termine della celebre dichiarazione del 9 maggio 1950, chiedeva a Robert Schuman se un giorno anche l’Urss sarebbe entrata a far parte dell’Europa unita, Robert Schuman rispose: ”La Russia no, ma i paesi a essa soggiogati sì, quando la libertà sognata sarà conquistata”. Parole di un profeta. Oggi non basta: occorre liberare l’uomo dalle tentazioni ricorrenti delle ideologie di un tempo perché possa emancipare la sua libertà interiore e proiettarla all’esterno per una nuova stagione bella e feconda dell’Europa.
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