C’è qualcosa di inquietante nelle critiche provenienti da più fronti contro il movimento Fridays for future e contro la sedicenne svedese, Greta Thunberg, diventata figura simbolo del movimento. Una ragazzina la cui colpa grave, evidentemente, è quella di aver messo a nudo l’impotenza dei governanti rispetto ai cambiamenti climatici e i guasti profondi prodotti da un modello di sviluppo pauperistico e fuori controllo.
I toni usati contro questa ragazzina, dalla derisione all’insulto, rivelano la miseria degli autori. Dietro tanta volgarità si nasconde la loro triste incapacità di cogliere i fermenti positivi e le potenzialità di questo nuovo movimento giovanile che in pochi mesi ha mobilitato nel mondo milioni di giovani. Sì, certo, la questione ambientale è dibattuta da un cinquantennio. Sì, certo, il problema è estremamente complesso e non risolvibile a colpi di bacchetta magica. Sì, certo, non bastano gli slogan e i cortei colorati a risolverlo. E allora? Forse che derisione e insulto sono risposte?
Perché accanirsi così astiosamente contro chi si mobilita chiedendo ai governi di agire? Avreste forse preferito continuare a dilettarvi con l’apatia degli indifferenti? O la superficialità dei “bamboccioni”?
Se milioni di ragazzi trovano un motivo nobile, una ragione seria, per dedicarvi anche solo un po’ di attenzione e di impegno sociale, dovremmo essere tutti felici e, semmai, contribuire a farli crescere e non a toglier loro ogni speranza lasciandoli naufragare nel mare nero dell’individualismo e dell’egoismo cinico di chi sa solo pensare a se stesso.
Penso che l’aggressione verbale contro quel movimento non nasca soltanto dalla incapacità di comprendere il senso reale delle cose (anche se per alcuni lo è) e neppure da una sorta di conflitto generazionale tra “adulti” sapienti e giovani incoscienti. In realtà la ragione che muove i critici più potenti, annidati nei mezzi di comunicazione di massa, è ben diversa e più preoccupante: mantenere l’ordine esistente!
Non è certo una novità. Già in passato al sorgere di movimenti di massa contro le guerre e contro la globalizzazione si è subito contrapposto una campagna mediatica di vaste proporzioni per sminuire, screditare, depotenziare, la loro influenza. Se non stavi con la Nato eri amico di Milosevic, se protestavi contro la guerra in Iraq eri servo di Saddam, così come nel caso libico lo eri di Ghedaffi o in Siria di Assad, se non credevi agli “esportatori di democrazia” eri un incosciente buonista. Così è stato smontato e distrutto il grande movimento pacifista con il risultato che le guerre possono continuare nell’indifferenza generale.
Una sorte analoga è toccata al movimento no-global. In questo caso si è pure aggiunta la repressione violenta. Basta pensare a cosa successe a Genova nel 2001 durante la grande mobilitazione contro il G8. Un movimento “colpevole” di opporsi alla globalizzazione, considerata come l’ultima metamorfosi del capitalismo, mentre i potenti di turno, trasversalmente, la esaltavano come un fenomenale processo di modernità dal quale sarebbero scaturite per tutti magnifiche sorti e progressive.
La sconfitta di quel movimento si è accompagnata alla definitiva scomparsa della contrapposizione tra progressisti e conservatori o tra sinistra e destra. Tutto questo, e poi la grande crisi esplosa nel 2007 (non ancora conclusa), hanno spianato la strada ai populismi e ai sovranismi dei nostri giorni.
Le storie precedenti dovrebbero pure insegnare qualcosa.
Oggi come allora lo scopo di quanti ricorrono all’ingiuria e all’offesa, occultando il vero obiettivo, è identico: neutralizzare e stroncare ogni forma di dissenso e ogni richiesta di cambiamento. Il manovratore non va disturbato! La forza di quel movimento invece è tutta qui: nel voler “disturbare il manovratore”, nella “minaccia” che il futuro possa e debba essere discusso anche fuori dai centri di potere.
Quei giovani stanno rivendicando spazi di democrazia, voglia di partecipare, dire la loro, sentirsi coinvolti. Ci dicono che non spetta ai potenti di turno decidere del futuro anche per conto loro
Far finta di nulla o affidarsi ai professionisti della derisione e della denigrazione è quanto di peggio possa capitare. Inutile poi preoccuparsi, seriamente o per finta, che i giovani sono abulici e indifferenti.
E se politici, finanza, imprese, vogliono continuare ad esaltare se stessi, restando prigionieri del totem che è “il mercato” a dover determinare il destino dell’umanità, lo facciano, ma abbiano almeno il coraggio di interrogarsi prima sugli effetti delle loro scelte sperando di essere ancora in tempo
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