Conto alla rovescia in Vaticano per il Sinodo sull’Amazzonia, l’assemblea straordinaria dei vescovi per una regione che da sola detiene il venti per cento di acqua dolce non congelata di tutto il pianeta.
E se in Curia e non solo, qualcuno aveva storto il naso all’annuncio di papa Francesco il 15 ottobre di due anni fa, le recenti notizie di cronaca dei devastanti incendi che distruggono le foreste del ‘polmone verde’ e le sciagurate politiche del presidente Bolsonero hanno investito di carattere profetico la decisione di Bergoglio.
Pochi giorni fa la sala stampa della Santa Sede ha reso noto l’elenco dei partecipanti che arriveranno a Roma. Sono 185 tra vescovi e cardinali oltre a una serie di esperti e uditori.
All’inizio del mese di settembre, il Papa aveva nominato tre cardinali, il venezuelano Porras Cardozo, il peruviano Barreto Jimeno e il brasiliano Braz de Aviz come Presidenti del Sinodo che è direttamente sottoposto al Pontefice.
“Noi vescovi dell’Amazzonia, ma anche tutti i laici che vivono qui, dobbiamo renderci conto che ci sono grandissimi progetti di distruzione dell’ambiente per i soldi che si possono fare, e manca invece attenzione per le persone che abitano lì, come denuncia papa Francesco nella “Laudato Sì”. A parlare è monsignor Giuliano Frigeni, vescovo di Parintins, missionario del Pime da 40 anni in Brasile. Lo incontro per una intervista a RadioRai.
“Il Sinodo – dice – ci rimette tutti in cammino, non per sognare di tornare con la canoa a pescare il proprio pesciolino, ma per capire che ci sono dei progetti così grandi, così maestosi in Brasile e nei nove Paesi che convivono nell’ area amazzonica. Dobbiamo renderci conto che la preoccupazione del Papa deve diventare la nostra preoccupazione: amare questa natura che Dio ha fatto a servizio dell’uomo”. I nove paesi coinvolti sono: Bolivia, Brasile, Colombia, Ecuador, Perù, Venezuela, Suriname, Guyana e Guyana francese.
Per dare una idea delle dimensioni: nella regione abitano 34 milioni di persone di cui oltre tre sono indigeni, appartenenti a più di 390 gruppi etnici. Una sola parrocchia può essere estesa come l’intera Italia settentrionale.
“Passiamo ore e ore in barca – racconta Frigeni – per raggiungere villaggi dispersi tra foreste e fiumi. Ma ne vale sempre la pena perché riscopriamo un contatto integrale con la natura, un modo di concepire le risorse che Dio ci dà rispettoso e non violento”.
Il rischio principale è quello della deforestazione. Si bruciano ettari di verde per fare posto a campi di soia o peggio di droga che permettono agli indios di arricchirsi rapidamente.
La Chiesa denuncia da tempo l’azione di grossi gruppi industriali occidentali che comprano o espropriano i terreni con la violenza. “Per questo – dice ancora Frigeni – la nostra preoccupazione principale è di carattere educativo. Realizzare scuole e istituti professionali dove i giovani possano imparare ad amare la propria terra, rifiutare scorciatoie facili di guadagno, intraprendere la strada di una economia sostenibile rispettosa dell’ambiente”.
Gruppi ambientalisti di tutto il mondo hanno già sposato la causa del Sinodo. Cattolici conservatori soprattutto in America avanzano invece preoccupazioni per una assise che considerano troppo sbilanciata a sinistra. Su tutto aleggiano le nubi del ‘Climatechange’.
Come andrà a finire? chiediamo a Padre Michel Czerny, segretario speciale del Sinodo”. Impossibile fare previsioni” taglia corto il sacerdote. “È un cammino da fare insieme e, fattore fondamentale, ispirato dallo Spirito Santo”.
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