È elegante, affabile e telegenico, grande amico di Fabio Fazio che lo ha accreditato in tv e il suo destino sembra essere quello di suscitare polemiche ogni volta che apre bocca. Emanuele Filiberto di Savoia, figlio di Vittorio Emanuele e di Marina Doria, nipote dell’ultimo re d’Italia Umberto II, detto il Re di Maggio per avere regnato dal 9 maggio 1946 al 10 giugno dello stesso anno e morto a Ginevra nel 1983 dopo un lungo esilio a Cascais (seguìto al referendum tra monarchia e repubblica), è un personaggio che fa parlare di sé nel bene e nel male. Ospite della Toffanin a Verissimo, forse senza volerlo ha scoperto un altarino della Rai.
“La mia partecipazione al Festival di Sanremo nel 2010 fu scritta a tavolino – rivela – Era un Sanremo debole e avevano bisogno di un personaggio. Il direttore di Rai1 venne a trovarmi e mi convinse a partecipare, poi la giuria tecnica mi eliminò ma grazie a Dio fui ripescato dalla giuria popolare e in coppia con Pupo andammo fino in fondo. La mia canzone “Italia amore mio” raccontava come ho sognato l’Italia da bambino, in esilio e conquistò il secondo posto. Fu un’esperienza bellissima ma non la rifarei, come non rifarei Ballando con le stelle e altri programmi. La tv mi ha stancato. Preferisco stare con le mie bambine e con mia moglie Clotilde”.
Uno sfogo comprensibile, anche onesto ed apprezzabile per certi versi. È il marchio di fabbrica di un personaggio che fa discutere dopo ogni intervento pubblico destreggiandosi tra gossip televisivo e dibattito politico. Nel 2011 fece scalpore l’annuncio di volersi presentare nudo all’Isola dei famosi, coperto solo dalla cover del suo libro per farsi pubblicità. Altro polverone in Sicilia quando il sindaco lo accolse in pompa magna per la festa dell’Infiorata. Nuovi clamori per l’invito a inaugurare una piazza nel Varesotto, ricorrendo il giorno in cui il bisnonno aveva firmato le leggi razziali. E per aver definito l’Italia su Facebook una “repubblica delle banane”.
Un putiferio scatenò sui social il tweet partito dall’account di Emanuele Filiberto che definiva “parassiti i partigiani che costano al contribuente tre milioni di euro con le loro 179 associazioni”. Il principe si scusò affermando che l’account era stato violato e replicò: “Vorrei ricordarvi il ruolo avuto da mia nonna durante la guerra accanto ai partigiani”. Più recente, in agosto, è la gazzarra scoppiata sui social dopo il tweet in cui faceva il verso al Salvini “dei pieni poteri” affermando di ricevere anche lui milioni di messaggi di italiani delusi dalla politica. Concludeva ironizzando: “Che facciamo?”.
Altro giro altri polveroni, sempre più connotati politicamente. Richiesto di un parere sull’allora governo gialloverde, confidò al settimanale Oggi di guardare con favore all’esecutivo Lega-Cinque Stelle: “Le élite hanno fallito, l’unica cosa elitaria che hanno saputo fare è stata riempirsi le tasche. In questo governo si vedono meno impicci e più senso pratico. Diamogli tempo”. Il clou lo raggiunse con la polemica scatenata nel 2017 sul rientro in Italia delle salme di Vittorio Emanuele III e della regina Margherita. Che, secondo lui, devono essere sepolte al Pantheon a Roma, dove riposano altri reali della casata, non nel santuario piemontese di Vicoforte.
Alle proteste della comunità ebraica e alle parole dell’allora premier Gentiloni, che escludeva improvvisate riabilitazioni e trasferimenti al Pantheon, l’erede di casa Savoia alzò i toni fino a sfiorare l’insolenza. In un’intervista al Tempo di Roma, disse di rifiutare il governo come interlocutore perché la decisione umanitaria di far rientrare le regali spoglie era del presidente Mattarella e non di Palazzo Chigi. “Quello di Gentiloni è solo un parere – aggiunse con scarso rispetto istituzionale – io penso che tutti i re d’Italia e sottolineo tutti, dovrebbero essere sepolti al Pantheon. Chi ha la titolarità di dare l’ok alla traslazione è il Vaticano e chiederò udienza. Con mille anni di storia alle spalle, possiamo aspettare”.
Tornando alla Toffanin, il principe ha confessato candidamente alla conduttrice una umanissima ambizione: “Ho fatto televisione per farmi conoscere dagli italiani dopo trent’anni di esilio”. La XIII disposizione finale della Costituzione, comma 2, vietava l’ingresso in Italia ai discendenti maschi di casa Savoia prima che la legge costituzionale n. 1 del 23 ottobre 2002 ne dichiarasse cessati gli effetti. Da allora il principe, che vive a Parigi, viene in Italia e si fa vedere quanto vuole. Bene. Ma per preservare l’immagine del Paese che sognava esule da bambino dovrebbe decidersi a rispettare la repubblica come fece il nonno Umberto. E non confondersi, come accaduto ad altri suoi avi, con gli imbarazzanti italiani che la danneggiano.
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