A un protagonista della vicenda artistica del “secolo breve” è dedicata la mostra ospitata da Milano al Museo del Novecento. È Remo Bianco, pseudonimo di Remo Bianchi, (1922-1988), con le sue “Impronte della memoria”, rassegna di oltre settanta opere curata da Lorella Giudici d’intesa con la fondazione che prende nome dall’artista.
La sua carriera viene ripercorsa fin dagl’inizi. E dunque si racconta della Milano che s’affaccia alla grande trasformazione economica del dopoguerra e, anzi, la guida in un Paese da ricostruire. Bianco, che si definirà “ricercatore solitario” è curioso d’idee, incontri, conoscenze. E ne trae impulso per le sue prime sperimentazioni d’autore poliedrico, dotato d’una accesa fantasia. Ciò che gli consentirà nel tempo approcci mai banali alla realtà, e trasfigurazioni originali. Frequenta anche lo studio del coltissimo De Pisis, già conosciuto nel ’39 ai corsi serali dell’Accademia di Brera, dove si era iscritto due anni prima : avrà modo di conoscere qui artisti come Carrà, Sironi, Soffici, Soldati, Marini, Cantatore.
Figlio di un elettricista della Scala, severo anarchico, e di una mamma che aveva fatto studi di astrologia, assimila dal padre la tenacia e dalla madre la voglia di conoscenza. Ha una sorella, la primogenita Lyda, con cui intratterrà sempre un forte legame, avendo perso da subito l’affetto del fratello gemello Romolo, morto di broncopolmonite nel ’23.
La guerra gli imporrà nel ’41 il distacco dalla sua Milano e l’arruolamento come puntatore mitragliere su di un cacciatorpediniere, che fu poi silurato e affondato nel ‘43 dagli inglesi. Salva la vita, ma gli toccano due anni di internamento a Tunisi, suo primo contatto con l’Oriente.
Rientrato a Milano nel ’44, può finalmente riallacciare i rapporti col maestro De Pisis, e guardare al Movimento Nucleare di Dangelo e Baj, allo Spazialismo di Fontana.
Lezione importante come ha sottolineato il critico Restany : “Non dimentichiamo che Remo Bianco si è formato nel dopoguerra alla scuola dello spazialismo milanese di Lucio Fontana e Carlo Cardazzo e che ne ha tratto una doppia lezione di energia e di eclettismo. In una sola parola, di libertà”.
È la metà del secolo o poco più quando propone le Impronte, ovvero calchi in gesso, cartone pressato o gomma ricavate dai segni lasciati, ad esempio, da un’automobile sull’asfalto, o da tracce di oggetti comuni, giocattoli o attrezzi. L’intento dell’artista è di recuperare “le cose più umili che di solito vanno perdute”, come spiega nel Manifesto dell’Arte Improntale del 1956. Sempre di questo periodo (inizio anni Cinquanta) sono i Sacchettini – Testimonianze, realizzati assemblando oggetti di poco valore – monete, conchiglie, piccoli giocattoli, frammenti – in sacchetti di plastica fissati su legno in una disposizione regolare e appesi come un quadro tradizionale.
Dello stesso periodo sono anche le prime opere tridimensionali – i 3D – in materiale plastico trasparente o vetro e, successivamente, su legno, lamiera e plexiglas colorato, dove l’immagine è la combinazione di figure poste in successione su piani diversi, che ne esaltano la profondità.
La serie dei Collages, sviluppata invece nella seconda metà degli anni Cinquanta fino agli anni Ottanta, in seguito a un viaggio di Bianco negli Stati Uniti, si basa su un effetto combinatorio di immagini, realizzate con la tecnica del dripping su un unico piano, di tela, carta o stoffa.
Al 1957 risalgono i primi Tableaux Dorés, che costituiscono uno dei cicli più noti dell’artista, oltre che il più duraturo. Lo sfondo bicolore, trattato a olio o a smalto, su cui sono disposte le foglie d’oro, presenta una parte bianca accostata a colori primari. Altri hanno lo sfondo monocromo o sono realizzati con paglia o stoffa.
A partire dal 1965 l’artista dà vita ad alcune opere racchiuse sotto la definizione di “Arte so- vrastrutturale” che, mediante un atto di “appropriazione artistica” di oggetti, cose e persone, esprimono l’esigenza di fissare nella memoria in modo indelebile ricordi e realtà. Ascrivibili a questo ciclo sono le Sculture neve, teatrini poetici i cui protagonisti sono oggetti comuni, tratti dal mondo dell’infanzia, della natura o della vita quotidiana, ricoperti di neve artificiale e disposti in teche trasparenti: immobile sotto il manto bianco che la riveste, la composizione trasporta lo spettatore in una dimensione incantata e senza tempo.
I Quadri parlanti, esposti per la prima volta nel 1974, sono invece tele in alcuni casi non lavorate in cotone bianco o nero, in altre impressionate con fotografie, sul cui retro sono posizionati degli amplificatori che, all’avvicinarsi dello spettatore, si attivano emettendo suoni o frasi registrate dall’artista. Il più noto è “Scusi signore…” dove Bianco si auto-ritrae con il dito puntato, immagine già utilizzata nel 1965 quando, in occasione di una personale alla Galleria del Naviglio, la foto compariva su tutti i tram milanesi a coinvolgere l’intera comunità. L’inserimento della voce umana rappresenta un tentativo di oltrepassare la dimensione tradizionale del quadro. Il tema è il bisogno di dialogare con il pubblico, trasformando la tela non più nel teatro della rappresentazione, ma nel luogo dell’ascolto e, soprattutto, del ricordo, punto focale di gran parte del percorso dell’artista.
L’esposizione al Museo del Novecento ripercorre il ricco e sorprendente percorso di Remo Bianco esplorando proprio il tema della memoria, attraverso le sue opere e tramite un’ esaustiva documentazione d’archivio: cataloghi, manifesti, articoli e fotografie d’epoca.
Il catalogo della mostra, edito da Silvana, è corredato dai testi di Lorella Giudici ed Elisa Camesasca, dagli apparati a cura di Gabriella Passerini e Alberto Vincenzoni e riporta un’interessante intervista a Marina Abramović del 2012, riguardo al lavoro di Remo Bianco, conosciuto nel 1977.
Milano, Museo del Novecento Fino al 5 ottobre 2019 lunedì 14.30 – 19.30 martedì, mercoledì, venerdì e domenica 9.30 – 19.30 giovedì e sabato 9.30 – 22.30 Contatti Museo del Novecento tel. 02 88444061 c.museo900@comune.milano.it www.museodelnovecento.org facebook.com/MuseodelNovecento twitter: @museodel900 instagram: @museodel900 ufficio stampa Lucia Crespi, tel.02 89415532 – 89401645, lucia@luciacrespi.it
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