Nel giardino di un amico d’infanzia, seduto su una poltroncina di vimini, attento e ricettivo mi riposo, conversando col compagno di giochi, di scuola, di studi e di escursioni in montagna. È pomeriggio inoltrato e la luce impercettibilmente colora le mura, le case, le chiese di Assisi. Sotto di noi, nella valle, oliveti, campi ben arati, casolari isolati. La brezza serale scende dal Subasio. Di fronte si snoda la dolce catena delle colline che circondano la piana.
È bello conversare perché non è come ascoltare prediche o ubbidire a ordini, ma parlare alla pari, valutare e ragionare senza trama, alla ricerca del nuovo, della conoscenza. È provare la capacità di meravigliarsi di fronte a ciò che si dà per scontato.
Ormai tutti e due anziani, ora che si è allentato il legame con i figli, complici a loro volta nell’adolescenza di spensierati giochi, mentre le mogli si dedicano a raccontarsi le prodigiose imprese e le loro inquietudini sui nipoti, il dialogo tra di noi affonda le sue ragioni nei risucchi dei ricordi di un tempo e degli affanni disordinati dell’oggi.
L’amico mi porta a condividere con lui i miei pensieri sull’ attuale momento politico.
Non fatico a manifestargli il mio conforto per il clima nuovo che mi sembra di percepire nel paese. È un clima in cui si intrecciano serenità per lo scampato pericolo di affidare le sorti della nostra democrazia a un movimento sovranista ed anti-europeo, è desiderio di unione, è ricerca affannosa di ciò che unisce, concordia degli animi. Si respira un desiderio di tornare coi piedi per terra, di riprendere ad ascoltare la gente, di prestare attenzione più alle cose da fare piuttosto che alle accuse da lanciarsi addosso l’uno contro l’altro. “È un invito “a mettersi alla stanga” – direbbe De Gasperi – “per tirare tutti assieme il carretto”.
“Eh, no – mi interrompe l’amico – l’invito di De Gasperi era rivolto ai “giovani turchi” della sinistra democristiana, mentre proprio ieri il rappresentante della linea centrista del PD ha annunciato la scissione dal suo partito per creare una nuova formazione politica. Che cosa voglia, nessuno di preciso lo sa, ma l’idea di Renzi non è certo un esempio di unità”.
“Nessuno sa che cosa voglia – aggiungo io – ma tutti sapevano che si sarebbe arrivati a questo ennesimo strappo. Ai tempi dell’onnipotenza della balena bianca esistevano anche allora le correnti, ma esse non erano ideate per scindere, ma per unire. Esse erano fucine di pensieri, di incontri, di discussione anche aspra, ma alla fine si riusciva sempre portare il tutto a buona sintesi. Renzi, al contrario, concepisce il partito come una prigione dalla quale fuggire e non come un’occasione per far crescere la società, darle un volto ben preciso, condurla verso il futuro. Ciò che altri prima di lui avevano costruito a costo di lotte, di sacrifici, di studi è per lui un fardello pesante. Egli vive il passato in modo passivo e acritico che non dilata il presente né tanto meno illumina il futuro. A me pare che Renzi viva sotto la tirannia del presente, che sia un uomo con un passato di breve durata e senza avvenire. Da qui la sua campagna contro la casta, contro il passato, contro i vecchi e contro la politica che non cambia niente. Ma neanche lui è riuscito a intercettare la rivolta silenziosa degli strati sociali più umili, dei disoccupati, dei giovani che non trovano lavoro. Con i suoi atteggiamenti anche ora afferma continuamente di essere sceso dal treno della storia e di preferire l’oggi, meglio l’istante. Per lui la storia non si rappresenta con l’immagine di una linea che affonda nel passato e si proietta nel futuro, come ci insegnava il nostro caro Salmistraro, ma piuttosto come una serie di punti che si succedono casualmente l’uno dopo l’altro, l’uno indipendentemente dall’altro: un giorno è statalista, un altro è per le privatizzazioni, vuole battere i pugni sul tavolo del consiglio europeo e il giorno dopo invita la Merkel e Macron a rendere omaggio a Spinelli a Ventotene, vuole diminuire il debito pubblico, ma elargisce a tutti indiscriminatamente una mancia di ottanta euro… La meravigliosa narrativa del suo governo si è rivelata una fragile bolla bucata dall’amarezza dello scontento di chi invece non pensava affatto che le cose andassero bene!”
“Sei il solito ingeneroso verso chi ha operato anche bene”. aggiunge l’amico.
“È vero, forse esagero. Sono tirchio di elogi verso un politico abile, non posso dimenticare le poche leggi buone che il suo governo ha promosso, ma non posso dimenticare anche che era diventato “poco convincente”, usando un linguaggio politicamente corretto. Il politico saggio prima di lanciare twitter, ragiona perché ogni sua parola può portare alla lite, al contrasto, mentre il suo compito è quello di rafforzare il rapporto tra la politica e i cittadini. Per Renzi, al contrario, il cittadino è solo uno specchio: egli ha bisogno di ascoltatori che lo ascoltino passivi, il suo parlare è un esercizio di seduzione. Ama ascoltarsi, ma non ascoltare. Ai suoi occhi l’altro è un oggetto per un selfie, non un soggetto”.
Dall’ombra del giardino il mio occhio intravvede la luna che gioca nel rintracciare la città e illuminare di rosa le piazze, i campanili di marmo, le torri brune, la cupola di San Rufino. “È ora di andare nel cortile inferiore ad ascoltare il professor Cacciari – mi invita l’amico – Stasera parlerà su Antigone e giustizia”.
“Ho una grande stima di Cacciari – gli rispondo – perché, ricercando Dio, non può che trovare l’uomo e chi lavora per l’uomo non può che avvicinarsi a Dio”.
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