Era il 1958 quando un decreto del Presidente della Repubblica (n. 585 del 13 giugno) introdusse in Italia l’insegnamento dell’Educazione civica.
«La Scuola giustamente rivendica il diritto di preparare alla vita, ma è da chiedersi se, astenendosi dal promuovere la consapevolezza critica della strutturazione civica, non prepari piuttosto solo a una carriera.» Così si legge nella Premessa del decreto voluto e firmato dall’allora ministro della Pubblica istruzione, Aldo Moro. «Il campo dell’educazione civica – continuava lo statista –, a differenza di quello delle materie di studio, non è definibile per dimensioni, non potendo essere delimitato dalle nozioni, e spingendosi invece su quel piano spirituale dove quel che non è scritto è più ampio di quello che è scritto».
Erano passati appena dieci anni dall’entrata in vigore della nostra Costituzione. La consapevolezza di essere cittadini di un Paese democratico doveva ancora maturare, così come doveva ancora essere pienamente assimilata la nuova identità nazionale, di cui i principi fondamentali della nostra Carta rappresentavano il perimetro valoriale. Si trattava, insomma, di promuovere una educazione alla cittadinanza democratica, in un Paese che non aveva mai conosciuto la democrazia. Purtroppo, nonostante le buone intenzioni del ministro Moro, questo obiettivo non fu raggiunto. O, almeno, non fu raggiunto attraverso l’insegnamento obbligatorio dell’Educazione civica.
Nel 1984, Norberto Bobbio doveva constatare come l’educazione alla cittadinanza fosse stato un obiettivo mancato della nostra democrazia (Il futuro della democrazia). Prova ne erano l’apatia e la disaffezione politica, che si accompagnavano ad una diffusa rassegnazione nei confronti di un sistema corruttivo esteso ad ogni livello della vita sociale ed economica. La sua implosione, il decennio successivo, avrebbe portato alla luce ciò che tutti già sapevano.
Con il mutamento degli scenari politici e dei sistemi economici, e con il tramonto delle identità nazionali ancora concepite secondo paradigmi ottocenteschi, si è sentito il bisogno di riproporre l’insegnamento di una nuova Cittadinanza, ancorata alla nostra Costituzione. La Legge n. 169 del 30 ottobre 2008, fece partire, per l’anno scolastico 2008/2009, la sperimentazione dell’Insegnamento di Cittadinanza e Costituzione. Era ministro dell’Università, dell’Istruzione e della Ricerca Mariastella Gelmini.
Sul «Corriere della Sera» dell’8 novembre 2009, l’editorialista Ernesto Galli Della Loggia manifestò tutte le sue preoccupazioni per un insegnamento che sembrava voler riproporre, attraverso la trasformazione della Costituzione in una sorta di “vangelo”, una «religione politica» come quelle che avevano funestato il Novecento secondo un «paradigma totalitario».
Gli rispose, sempre dalle pagine del «Corriere», il 25 gennaio del 2010, Valerio Onida, già presidente della Corte costituzionale:
«Specie oggi, in una realtà in cui l’”unità culturale” della società è continuamente esposta alla sfida del pluralismo e delle diversità, è vitale la riflessione sul terreno comune che consente a individui e gruppi di riconoscersi come componenti di un “corpo” sociale: questo è il terreno della Costituzione. Essere “cittadini” non è un dato, è un obiettivo».
Confesso che, mi sembra, la scuola abbia rinunciato da tempo a «formare cittadini». E questo non per mancanza di risorse, di mezzi, di «eccessiva burocratizzazione», come spesso lamentano gli insegnanti. Ma per un lento declino, culturale, professionale e umano, che la scuola vive ormai da molti anni.
Nella scorsa primavera, è sembrata precipitare come un fulmine a ciel sereno l’Ordinanza ministeriale (n. 205 dell’11 marzo 2019), che prescriveva come una parte del colloquio dell’Esame di Stato dovesse essere dedicata «ai percorsi e ai progetti svolti nell’ambito di “Cittadinanza e Costituzione”», com’era prevista, per l’appunto, dalla legge del 2008. Tutto sommato, chiedeva solo di rendere conto di un obbligo di legge risalente a dieci anni prima, ma evidentemente ampiamente disatteso o trascurato.
Ora, si torna all’insegnamento dell’Educazione civica. La legge n. 92 del 21 agosto 2019 è entrata in vigore ad anno scolastico iniziato e pertanto dovrà essere applicata dall’anno scolastico 2020/2021. In verità il ministro Bussetti il 27 agosto (in piena crisi di governo!), firmava un decreto per farla entrare in vigore dall’anno scolastico in corso. Ma il Consiglio superiore della Pubblica istruzione, l’11 settembre, ha espresso parere negativo.
Ora abbiamo un nuovo ministro, Fioramonti. Un ministro che viene dal mondo della ricerca scientifica. Interpellato sul futuro della “nuova” Educazione civica ha dichiarato: «Intendo rimodularla sull’agenda 2030 delle Nazioni unite». Se il nuovo ministro Lorenzo Fioramonti, già viceministro di Bussetti, si fosse sforzato di leggere il testo che introduce l’insegnamento dell’Educazione civica, avrebbe facilmente scoperto che è lì già presente il richiamo all’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile.
E intanto…?
Intanto si vivacchia… Secondo il più antico costume nazionale del tirare a campare. L’educazione civica può attendere.
In fin dei conti, la storia dell’insegnamento dell’Educazione civica sembra rispecchiare bene lo sbandamento culturale del nostro Paese e la difficoltà di definire i contenuti e il senso della nostra cittadinanza.
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