Ha scritto Henri De Lubac in “Meditazioni sulla Chiesa”: «Posso riassumere cosa sia la Chiesa in una parola, la più semplice, la più infantile, la prima fra tutte le parole: la Chiesa è mia madre. Sì, la Chiesa, tutta la Chiesa, quella delle generazioni passate, che mi hanno trasmesso la vita, i suoi insegnamenti, i suoi esempi, le sue abitudini, il suo amore, e quella di oggi. Tutta la Chiesa. Non solo la Chiesa ufficiale, quella gerarchica, che detiene le chiavi affidatele dal Signore, ma in senso più largo e più semplice, la Chiesa vivente: quella che lavora e prega, che agisce e contempla, che ricorda e cerca; la Chiesa che crede, spera, ama».
Il tema principale del mistero della Chiesa è la sua maternità, perché la Chiesa è Madre, dal momento che in essa vengono continuamente generati nuovi cristiani che si aggiungono agli altri, che a loro volta vengono continuamente rigenerati per essere purificati e divenire pietre vive e sante, degne di formare la Chiesa, Gerusalemme della terra e soprattutto del cielo.
È doveroso prendere coscienza di essere Chiesa, non singoli individui con una religiosità intimistica o individualistica, ma di essere comunione, collegati e cementati con tutte le altre pietre, perché un edificio, per poter rimanere saldo, deve essere costruito accostando le pietre non in modo casuale, ma con il cemento forte della carità.
Ciascuno è costruttore ed è materiale di costruzione; perciò dobbiamo essere consapevoli che dipende anche da ciascuno di noi, oltre che da tutti insieme, che la Chiesa sia santa e si prepari come Sposa bella e immacolata per essere congiunta al Cristo nella gloria.
La vita comune è la palestra, l’officina dove si preparano queste pietre; ogni famiglia e ogni forma di vita comunitaria, quanto più è stabile, tanto più realizza questo mistero di Chiesa.
San Paolo VI, nel “Pensiero alla morte”, ha manifestato con parole toccanti il suo amore alla Chiesa: “Prego il Signore che mi dia grazia di fare della mia prossima morte dono d’amore alla Chiesa. Potrei dire che sempre l’ho amata; e che per essa, non per altro, mi pare d’aver vissuto. Ma vorrei che la Chiesa lo sapesse; e che io avessi la forza di dirglielo, come una confidenza del cuore, che solo all’estremo momento della vita si ha il coraggio di fare. Vorrei abbracciarla, salutarla, amarla, in ogni essere che la compone, e benedirla. Anche perché più e meglio con essa mi unisco e mi confondo: la morte è un progresso nella comunione dei Santi. Dico alla Chiesa, a cui tutto devo: le benedizioni di Dio siano su di te; abbi coscienza della tua natura e della tua missione; abbi il senso dei bisogni veri e profondi dell’umanità; e cammina povera, cioè libera, forte ed amorosa verso Cristo”.
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