Nonostante la vita quotidiana abbia ripreso il ritmo abituale trovo difficile dimenticare alcune giornate dei mesi passati, che ho percepito come lunghe e faticose, e non solo per l’afa opprimente.
Alla sensazione di disagio diffuso ha contribuito in parte la crisi politica che ci tenuti sospesi per giorni, incollati ai televisori e connessi ai vari media, alla ricerca di una chiave che consentisse di capire quello che stava succedendo, dato l’alternarsi di notizie continuamente smentite.
In parte, e forse in misura anche maggiore, sono state le notizie di cronaca a darmi la misura di una febbre crescente e diffusa, che mi fa temere che il mondo possa funzionare così, con tutta questa cronaca nera, i tanti insulti, le cattiverie, le ingiustizie.
Le pagine dei giornali si sono riempite di gravi episodi di violenza verbale e fisica.
Riporto solo qualche fatto tratto da un lungo elenco.
Una signora riceve un’involontaria pallonata da un bambino (adottato, di colore) che sta giocando a calcio in una piazzetta ligure: ecco esplodere il marito con un “Dammi i documenti, fammi vedere il permesso di soggiorno”.
Pochi giorni dopo sulla vicina spiaggia un giovanotto grida all’indirizzo dello stesso bambino, ma questa volta senza un motivo apparente: “Negro di m*, torna casa tua, questo paese è nostro! Peccato che non sei affogato con gli altri”.
Pietro, 18 anni, di Chioggia, si è visto sbarrare l’accesso a una festa sulla spiaggia per via del colore della pelle; pur mortificato ha trovato il coraggio di denunciare il titolare dello stabilimento Cayo Blanco.
Luglio. Su un treno Frecciabianca un addetto alle pulizie avvicina una 23enne del Mali e la insulta, nell’indifferenza generale: “Alzati, negra di m. Tornatene al tuo paese”. “Devi levarti da qui, schifosa, lascia il posto a chi paga il biglietto”. La ragazza reagisce appellando l’uomo “razzista e fascista”, ma lui non demorde e ribatte “Ma quale fascista. Zitta, negra, che c’avete tre strade e le abbiamo costruite noi nel ‘39”.
Andi Nganso ha 32 anni, è originario del Camerun e vive in Italia da quando aveva 19 anni; lavora nell’Area Salute del Comitato Nazionale della Croce Rossa. Ha trovato scritto sulla sua auto, parcheggiata fuori da un ristorante romano, a caratteri cubitali: “Negro di m*”.
E da ultimo, purtroppo non ultima, la vicenda del piccolo marocchino di Cosenza preso a violente pedate nell’addome dal giovane papà a passeggio con la moglie e la piccola neonata. Il bambino si era avvicinato al passeggino della bambina per guardarla, parlarle, forse anche toccarla.
Ma non è stato solo il montante razzismo, a connotare in negativo questa estate.
Si sono verificate ripetute violenze sulle donne, portate fino all’estremo nell’ultimo femminicidio, quello di Piacenza.
La frase che trovo più sconvolgente è quella con cui l’omicida Sebastiani ha dato la stura alla confessione.
“Ho fatto una stupidata!”, ha esordito, inconsapevole del peso delle parole e della valenza dei propri gesti. Eppure è un uomo, un adulto di quarantasei anni, che ha ucciso, strangolandola, la giovane che non accettava di intraprendere con lui qualcosa di più impegnativo di una semplice amicizia.
Ho operato a lungo nella scuola, credendo profondamente nel valore di un’educazione condivisa, attuata con fatica ma con passione, giorno dopo giorno.
Constato che urge un profondo esame degli eventi dannosi procurati alla società da giovani e meno giovani appartenenti a generazioni che io e tanti altri abbiamo contribuito ad educare.
Me lo chiedo proprio nel momento in cui sta per decollare un nuovo anno scolastico che mi auguro proficuo e significativo per tutte le componenti interessate, in particolar modo per i docenti a cui affidiamo i nostri ragazzi.
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