Quando ero ragazzo mia madre mi ha preparato a vivere la esperienza della morte. Una donna semplice, di grande fede, ricca di quella sapienza che non si apprende sui libri ma dalla vita dura affrontata con coraggio e speranza. Sono nato e cresciuto in un paese di campagna; nel mio cortile c’erano alcune famiglie di contadini e altre di operai.
Da tempo una donna era malata e ormai era arrivata alla fine, questo il medico aveva comunicato. Oltre ai parenti, le famiglie del cortile si alternavano a vegliare giorno e notte. Il parroco era venuto ad amministrare l’olio santo; un incontro intenso, silenzio e preghiera. Dopo quel momento mia madre decise che era tempo di accompagnarmi in quella camera, avevo dodici anni. Attorno a quel letto c’erano donne che vegliavano e pregavano, una di loro ripeteva il gesto affettuoso di passare un fazzoletto bagnato sulle labbra secche della morente. Riuscii a controllare a stento la paura solo perché mia madre mi teneva stretto per mano. A poco a poco quella atmosfera di silenzio e preghiera e di grande rispetto mi ha dato tranquillità e mi ha aiutato a superare l’imbarazzo iniziale. All’orecchio mia madre mi suggeriva queste parole: “Teresa sta tornando là, da dove è venuta, si compie la volontà di Dio.” Queste parole mi davano serenità, mentre osservavo questa donna andare verso una nuova vita, circondata da tanto affetto. Un sollievo mai provato dimorava in me, mentre osservavo il volto smagrito di quella donna, ascoltavo il mormorio delle preghiere e sentivo l’abbraccio caldo di mia madre. Tutto mi stava dicendo che anche il morire fa parte della vita, che stavo vivendo qualche cosa di sacro e prezioso, il ritorno a quel mondo per il quale siamo stati creati. Mistero e armonia.
Oggi molto è cambiato. Queste esperienze ai nostri giorni sono diventate rare. Le persone anziane, man mano perdono autonomia, sono affidate alle Case di riposo. I figli con le loro famiglie non sono più in condizione di assisterli a casa. Il lavoro della coppia diventa necessario per affrontare i costi pesanti della vita. Quando gli anziani si aggravano non bastano più gli assistenti domiciliari e l’approdo obbligato diventa la Casa di riposo, dove si può rimanere per anni. Il tempo passa e le inevitabili patologie che intervengono avvicinano il momento in cui la persona anziana non è più in grado di nutrirsi da sola e nemmeno di ricevere il cibo che viene somministrato dal Personale. “Mettiamo il sondino; mettiamo la PEG” sembra essere la soluzione ideale per mantenerla in vita. Tra figli e parenti si discute, si consulta il medico, forse qualche dubbio, ma solitamente la decisone è presa: nutrizione artificiale.
Il momento drammatico sembra superato, quel corpo continua a vivere la sua vita fisica. Ogni giorno viene assistito con cura, lavato, collocato sulla bascula per ore. La sua esistenza può perdurare in uno stato di incoscienza per anni, abbandonato nella solitudine. Spesso i figli se ne vanno, lontananza e impegni inderogabili, convinti però di aver fatto il meglio per la loro madre. La condizione di quella donna viene accettata con rassegnazione. Quel corpo, che si stava già spegnendo, non è stato lasciato al corso della natura, si è scelto di prolungarne la sopravvivenza (quale?). Trovandosi la madre in quelle condizioni, le visite vengono diradate. Un giorno arriva la telefonata:” Sua madre…questa notte…” La morte è comunque arrivata dopo un periodo, a volte lungo, di solitudine e di abbandono.
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