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Il Viaggio

LA VOCE DEGLI ALBERI

GIOIA GENTILE - 26/07/2019

albinoHo sempre pensato che le piante parlassero, anche se non hanno voce. Ne ho avuto conferma entrando nel laboratorio di Antonio Albino, a Policoro in Basilicata. E’ la seconda estate che trascorro una vacanza in quella zona ed anche stavolta il nostro amico, Antonio pure lui, ha voluto far conoscere a Danila e a me, oltre ai siti culturalmente più noti, alcune realtà del territorio che sarebbero precluse al semplice turista. Una di queste è il laboratorio del signor Albino, uno scultore che sa ascoltare la voce degli alberi.

Gli alberi sono ulivi, vecchi tronchi che, come lui dice, gli parlano. Attraverso le venature e le nodosità gli suggeriscono le figure imprigionate che l’artista – novello Michelangelo – deve soltanto liberare. Nascono così personaggi, animali, oggetti, fiori intrecciati fra loro, spesso simbolici, quasi sempre espressioni di una storia o di un ideale. Le sue creazioni hanno la forza evocativa dell’arte primitiva. Possono essere imponenti ed essenziali come un Ercole o, minuscole, emergere da una costruzione complessa, intagliate fin nei minimi particolari, come il ritratto dell’archeologo suo amico, di cui ha riprodotto persino il modo di appoggiarsi al bastone.

A dispetto dell’aggrovigliato materiale su cui lavora, Antonio Albino è una persona semplice e non disdegna di spiegarci come è riuscito a vedere e a far vivere l’immagine nascosta nel legno duro dell’ulivo. Ha con le sue creature – più creature che creazioni, infatti – un rapporto affettivo intenso, ed essendo avanti con gli anni, vorrebbe garantirne la sopravvivenza, tanto che è disposto a regalarle, pur di saperle al sicuro. Ci verrebbe voglia di prenderlo in parola, se non fosse per le grandi dimensioni di ogni opera.

Ci allontaniamo a malincuore dallo stupefacente laboratorio per andare a Nova Siri ad “ascoltare” altre piante: cento ettari di viti e alberi da frutto che ci parlano con la voce del loro proprietario. Francesco Battifarano ci riceve nell’edificio principale della sua masseria, una costruzione la cui facciata è abbellita da enormi cascate di bouganvilles fucsia. Ci offre un fresco vino bianco e ci racconta la storia dell’azienda, che appartiene alla sua famiglia da più di cinque secoli e conserva uno dei più importanti archivi rurali del territorio, riordinato e catalogato dalla Sovrintendenza ai Beni Archivistici della Basilicata. Nelle sue parole, la storia antica del vino e dei popoli che hanno abitato quelle zone si intreccia con il racconto delle moderne tecniche di coltivazione e di trasformazione. I vini hanno i nomi strani e suggestivi dei luoghi in cui vengono prodotti o il fascino evocativo della loro funzione, come il Curaffanni, vino rosso “da meditazione”, vincitore di un prestigioso premio a Vinitaly.

E’ una terra fertile, la Basilicata, e non solo per la sua campagna solcata da numerosi corsi d’acqua. E’ fertile di storia e di cultura, ma sembra quasi averne pudore o voler tenere per sé la sue ricchezze, quasi che il diffonderle possa snaturarle. E’ una terra che va scoperta e che stupisce ogni volta che se ne conosce un aspetto.

I discorsi sull’antichità del vino ci hanno fatto nascere il desiderio di visitare qualche sito archeologico o qualche museo. E con Antonio basta parlare. Andremo a Metaponto ed entreremo nell’incredibile museo archeologico di Policoro. Ve ne parlerò la prossima volta.

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