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Attualità

CONTEMPLARE

EDOARDO ZIN - 26/07/2019

gabbianoEstate, tempo di vacanze. Da bambino, la casa smobilitava ed era ingombra dal lieve brusio delle valigie con le eterne discussioni se fosse possibile metterci dentro anche il triciclo. La stessa scena si ripeteva quando, con tre figli, mia moglie ed io eravamo intenti da giorni a riempire bagagli da spedire con la ferrovia per inviarli in val Pusteria dove passavamo le vacanze. I ragazzi d’oggi partono per i grandi cammini o per escursioni in montagna o per i campi estivi o per viaggi esotici con uno zaino che contiene l’essenziale!

Anche il modo di passare le vacanze è cambiato. Le vacanze si sono globalizzate ed il tempo del riposo è diventato tempo di baccanali. L’estate era la festa delle feste, la grande vacanza, l’offerta di restare tutto il giorno all’aperto e in comunione protratta con la natura. Ora è tempo di baldoria, di cene pantagrueliche, di giochi non nel mare ma nei parchi acquatici, di rifugi raggiunti non a piedi, ma con il fuoristrada, di notti passate in discoteca, che sono vere sorgenti di urli…

Oltre a riempire le strade cittadine di rumori e le case di suoni, ora imbottiamo di chiasso anche le spiagge, le valli e le cime dei monti, le dolci colline, i laghi scintillanti. Forse non amiamo la musica perché siamo diventati dei maniaci del suono: mettiamo la cuffia agli orecchi per avere qualcosa da ascoltare, qualcosa d’altro che non sia la noia, la povertà, le paure che ci portiamo adesso.

I nostri vescovi ci hanno invitati “a cogliere le molteplici opportunità che questo tempo ci offre, a coltivare le relazioni, a fermarci per sostare per riprendere in mano la propria vita, a contemplare il creato”.

E’ vero: non siamo più capaci di stupirci, di contemplare e di essere grati a Chi ha creato la bellezza e a chi ce l’ha conservata.

Non ci stupiamo più nel vedere volti, oggetti, segni, colori, nel vivere in semplicità le relazioni, nell’accontentarci delle piccole cose, nel perdere tempo perché siamo frettolosi consumatori di tecnologia.

Al contrario, niente è più incantevole di quando ci svegliamo la mattina al suono dei campanacci delle mucche, mentre il ruscello accanto corre precipitandosi a valle e il pascolo, fresco di rugiada, è tappezzato dai petali marroni dell’arnica, dalle azzurre coppe delle genziane, dalla nigritella rosea. L’aria è limpida e fresca. Il cielo turchino. Contemplare il ghiacciaio che all’orizzonte, giganteggia, massiccio, con la sua colata bianca che contrasta col verdastro del suo fronte rinfranca lo spirito. Come pure è stupefacente ammirare le onde del mare che si infrangono contro gli scogli o quei boccioli di cristallo che planano dolcemente lungo i lidi.

E mentre il nostro sguardo si posa su queste bellezze, odoriamo la terra o i covoni di fieno appena falciati e, se si è al mare, l’odore salmastro delle onde.

 L’afa del pomeriggio ci fa respirare ansando un po’ e – si chiede un altro vescovo – “perché mai alzare lo sguardo nell’ora più calda del giorno, quando tutto sembra ripiegarsi su se stessi?” Sdraiati sotto l’ombrellone o sotto la frescura di un bosco, è il momento del riposo utile per riandare alle stagioni della vita, riflettere sullo scorrere dell’esistenza, rivedere nella massa dei ricordi quelli più cari. Ed è questo meditare su se stessi che allontana i nostri incubi, i nostri opportunismi e forse le nostre ire.

E poi osservare ancora. Il volo di un gabbiano che fende fulmineo l’aria, il mare che si ritira mentre le onde si ritirano o le pareti rocciose del monte dove da secoli vento, pioggia, grandine, neve hanno scritto la storia. Ammirare tutto ciò senza chiederci a che cosa serve, senza tanti ragionamenti, è gratuito. Ammirare e contemplare solo per accontentare il cuore. Non siamo più capaci di farlo, immersi come siamo nella tecnologia, e forse per questo abbiamo riempito la nostra vita di volgarità, di odio, di menzogne.

Quando le prime ombre scendono e la luna batte sul fianco della montagna o il sole rosseggia all’orizzonte là dove mare e cielo sembra si siano congiunti, anche le voci, i rumori si smorzano. E’ il momento di contemplare, nella notte che avanza, il cielo stellato, la luna che dal sommo del cielo inonda di luce le vali, i paesini, i monti o l’incresparsi eterno delle onde.

Ma occorrerà fare silenzio, cercarlo perché il silenzio è ciò che ci manca oggi. Il suono della risacca, il ritorno del mare quando le onde si accavallano e martellano la spiaggia, i grilli che cantano, le cicale che friniscono, lo stormire delle fronde non rompono il silenzio, anzi formano una sinfonia che entra in noi e ci affascina. E’ allora che si percepisce la presenza di Dio. e il silenzio entra in noi.

La bellezza rifulge là dove il volersi bene vince sul consumo ed emerge dal contemplare, dall’ascolto e dal silenzio. Contemplare è il dono che viene dato gratuitamente a chi vede in ogni cosa e in ogni persona l’Infinito. Parafrasando un poeta inglese vorremmo dire che chi pretende di vedere la bellezza esteriore solo attraverso la ragione, non vede che se stesso.

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