Se il Pd tornasse ad essere veramente competitivo non sarebbe una buona notizia solo per chi crede nel bagaglio ideale del centrosinistra ma per tutta la democrazia italiana che richiede un’opposizione che non lasci alla destra l’illusione di poter fare ciò che vuole senza il rischio del possibile ritorno nelle retrovie.
Per fare ciò è chiaro che il Pd deve aggiornare costantemente la sua linea politica e i suoi progetti concreti. In estrema sintesi ritengo basilari tre punti: Immigrazione, rielaborando la politica di Minniti e del governo Gentiloni: Europa, verso una forte integrazione con passo spedito; sviluppo industriale con una sensibile riduzione del cuneo fiscale per le imprese. Sono tre linee che contrastano in modo netto le politiche di Salvini ma che non lo rincorrono essendo proprie del pensiero cosiddetto progressista.
Ma c’è un’altra questione aperta su cui desidero spendere qualche parola e che non riguarda affatto solo i militanti, gli iscritti, i simpatizzanti del Pd e del più largo centrosinistra ma tutte le forze politiche: come dovrebbe essere strutturato un partito moderno aperto alla società, che riconosce il valore della leadership e lavora in modo non autoreferenziale?
Il segretario Zingaretti parla di rivoluzione ed io incrocio le dita quando sento questo termine che non ha mai fatto parte del mio vocabolario politico. Dico però che lo schema di partito pensato alla fondazione del Pd poco più di dieci anni fa deve essere urgentemente ammodernato.
Non è da ora che questo problema si pone. Nel 2012 aveva lavorato una ristretta Commissione per la riforma del partito di cui facevo parte in rappresentanza di Enrico Letta, tanto per precisare che le aree di influenza sono sempre esistite. Inopinatamente Bersani, che quella commissione aveva fortemente voluto, l’ha sciolta alla fine del 2012 perché ormai si sentiva già a Palazzo Chigi. Ma il rigore a porta vuota che ha calciato nella campagna elettorale del 2013 è finito in tribuna.
Dunque di che cosa si tratta? Riassumo senza troppi dettagli tecnici. Andrebbe mantenuta la votazione aperta a tutti gli elettori del Pd per il segretario nazionale. Il fatto che questa norma esista solo in Italia non è un’anomalia da cancellare ma una pratica da consolidare magari come sprone pure per gli altri partiti.
Anche le primarie sul candidato premier andrebbero confermate e, poiché con la proporzionale si andrà verso una coalizione, le primarie dovrebbero riguardare tutta la coalizione. Con il sistema elettorale in vigore diventa accademica, sorpassata e fuorviante la discussione se mantenere, oppure no, la norma statutaria secondo cui il segretario del partito è automaticamente il candidato a Palazzo Chigi.
Una innovazione importante dovrà riguardare l’uso delle risorse digitali e delle piattaforme di consultazione che, a differenza dei Cinquestelle, dovranno essere assolutamente democratiche e controllate non solo dalla segreteria, che può ben essere a maggioranza, ma dalla direzione che rappresenta tutto il partito.
Sul piano territoriale vanno poi valorizzate le classi dirigenti locali che si sono spesso dimostrate un punto di forza nazionale. Il livello regionale, oggi di carattere solo o prevalentemente organizzativo, va rafforzato politicamente. Si dice, a proposito e a sproposito che bisogna finirla con le correnti. Bene si cominci da qui, dalla maggiore trasparenza e partecipazione dei cittadini alla vita del Pd.
You must be logged in to post a comment Login