Con titoli di non enorme evidenza si era avviata al tramonto la bella e pure secolare storia del calcio a Varese: la conclusione è avvenuta con una sorta di funerale dei poveri. Per un arco di tempo, al momento indefinibile, resterà aperta solo per i ricordi di qualche generazione di sportivi varesini la grande avventura del calcio professionistico che la città deve sostanzialmente a Giovanni Borghi.
Il grande imprenditore portò in A il team biancorosso agli inizi degli Anni 60 del secolo scorso e successivamente vi furono altri timonieri, alcuni sportivi veri, altri di taglio imprenditoriale e quindi pronti a salpare davanti a burrasche finanziarie ricorrenti e ad approdare nelle classi meno abbienti del calcio nazionale professionistico.
Uno di loro fu Colantuoni che ci fece anche galleggiare bene grazie alla sua esperienza al timone della Sampdoria.
Se ne andò Colantuoni da Varese avendo preparato al calcio e ai suoi tranelli un giovane dirigente come Beppe Marotta, campione di rettitudine e abilità nella gestione di una società nella giungla calcistica.
Con Colantuoni il rapporto della stampa locale divenne difficile quando emersero indizi di un “fine corsa” della sua gestione. Schermaglie, polemiche, Colantuoni si arrabbiò e rinfacciò ai varesini che lui era “l’uomo venuto dal mare a salvare il Varese”. Era la vigilia di Bologna -Varese, la mia risposta Colantuoni la lesse il giorno dopo nell’atrio di un hotel felsineo: “In molti sono arrivati in Italia dal mare. Come sant’Antonio, i pirati e anche padre Enea. Siamo tutti figli di Troia.”
Ci fu allarme tra il personale dell’albergo per la reazione di Colantuoni: in un primo tempo pensarono che volesse mangiare la copia della “Prealpina” che inizialmente brandiva come una spada, poi temettero per la sua salute tanto era arrabbiato. Alla fine il presidente si calmò e diede inizio alla sua contromossa strategica: sorrise! E mi avrebbe sorriso qualche giorno dopo quando mi incontrò.
Se ne è andato tempo fa Colantuoni, a Viareggio di recente hanno istituito un premio per ricordarlo. Gli chiedo scusa adesso per il mio irriverente commento, meglio tardi che mai. In effetti allora si era pur sempre sui gradini della scala del calcio professionistico.
A noi restano oggi il tesoro del basket e di imprese di singoli atleti in vari sport. E nel basket stanno zitti i cronisti che hanno seguito passo dopo passo il lungo e entusiasmante cammino della valanga gialloblù dell’Ignis, regina d’Europa e intercontinentale.
Accanto a un amarcord calcistico dei tempi d’oro, è giusto che ne collochi uno cestistico: e precisamente un inatteso tentativo di “corruzione” alla vigilia di una finale di coppa dei campioni tra l’Armata Rossa di Mosca e la nostra Ignis.
Avvenne che Alachachan allenatore sovietico e Giancarlo Gualco, general manager varesino si incontrassero durante la tradizionale visita all’impianto dove sarebbe stata disputata la partitissima.
Erano i tempi in cui la lingua ufficiale dello sport era il francese, oggi sostituito dall’inglese mentre la Gran Bretagna è in piena Brexit.
Nessuna possibilità di equivoci, Gualco era nato in Francia, il coach sovietico era un colto graduato dell’Armata. E fu Alachachan a gettare l’amo: “Il Real Madrid ci metterà del tempo prima di risalire, le nostre squadre sono le più forti: potremmo vivere felici a lungo se ci alternassimo nella supremazia europea.”
Giancarlo incuriosito gli diede corda: “Tu puoi decidere, io no. La faccenda non mi va, ma devi capire che io prima di darti una risposta devo parlarne al presidente, all’allenatore, ai giocatori. Come vedi è una situazione complessa, non siamo soldati come voi, ma abbiamo gerarchie precise che vanno rispettate. Siamo una società e una squadra che hanno regole chiare e un codice d’onore.”
Replica di Alachachan: “Sì, va bene, ma un grande titolo sicuro ad anni alterni è un traguardo eccezionale…”
Fulmineo Gualco: “E’ verissimo, ma chi comincia a vincere per primo?”. “L’Armata, l’idea è nostra”.
“Già lo avevo immaginato” la replica del divertito Gianca che concluse. “Te set un balòss e lo sapevo da sempre.”
E Alachachan: “Non capisco…”
“Adesso te lo spiego subito, il dialetto lombardo assomiglia molto al francese: a mi la ciccia, a ti i oss”.
Tra Mosca e Varese ci fu sempre una forte rivalità e noi fummo abili anche nello… “spionaggio”.
A Sarajevo durante gli allenamenti che precedettero la prima nostra storica vittoria europea due o tre tecnici lavorarono con impegno ai tabelloni, discutendo animatamente sull’impianto. Erano tre allenatori amicissimi di Aza Nikolic che gli riferirono particolari importanti dell’allenamento. E come il nostro allenatore i tre non amavano l’Unione Sovietica. Non a caso anche a Sarajevo quella notte di quasi 50 anni fa fu festa grande.
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