Finalmente, nelle ultime settimane, a Varese ci si è tornati ad interrogare sul futuro del Politeama. Perché, pare, un futuro il Politeama potrebbe averlo. L’Amministrazione propone di restituirlo alla città in quella che era la sua originaria funzione e cioè, come suggerisce l’etimologia, quella di un luogo destinato alla rappresentazione di spettacoli di genere diverso.
Con questa vocazione del resto era nato, il 31 dicembre 1892, il Politeama «Ranscett», per iniziativa della filarmonica locale, che gli diede poi il nome. Con una struttura simile a quella del Dal Verme di Milano, era nato per rispondere ai bisogni di un pubblico più popolare rispetto a quello del Teatro Sociale e tre anni dopo, nel settembre del 1896, aveva proposto alla città le prime proiezioni di pellicole cinematografiche.
Il Politeama «Ranscett», come sanno tutti, non era così come oggi lo vediamo. L’edificio originario era andato letteralmente in fumo la notte tra il 13 ed il 14 marzo del 1966. Probabilmente un mozzicone di sigaretta ancora acceso (a quel tempo si fumava liberamente nelle sale cinematografiche) aveva scatenato l’incendio, che lo avrebbe divorato. La domenica la sala si era riempita sino all’ultimo spettacolo, terminato dopo mezzanotte, per assistere alla storia dell’Agente 077: dall’Oriente con furore. Realizzato dal regista italiano Sergio Grieco, era, questo, uno di quei film nati sull’onda del successo delle prime pellicole che avevano come protagonista James Bond (Grieco, che però si firmava Terence Hathaway, diresse anche un altro film che aveva come protagonista l’Agente 077 – non è un errore di battitura – impegnato questa volta in una Missione Bloody Mary). Insomma, all’alba del lunedì, lo storico custode del Politeama, che viveva con la famiglia in un appartamento adiacente la sala, si svegliò per il fumo che aveva riempito la sua abitazione. Il tempo di chiamare i vigili del fuoco e la cupola che sormontava il Politeama crollò.
Diversi e vari erano stati gli spettacoli che il Politeama aveva offerto alla città. Manifestazioni sportive (come un torneo nazionale di scherma nel settembre del 1893), spettacoli musicali (nell’ottobre del 1910, si erano preparati qui i settanta coristi italiani, che, con gli altri del coro del Metropolitan di New York, avrebbero accompagnato Toscanini nella sua tournée americana), dibattiti pubblici (nel 1913 aveva accolto i rumorosi e affollati raduni delle vittime del fallimento della Banca di Varese), grandi rassegne cinematografiche (nell’estate del 1949 aveva ospitato il Festival internazionale delle pellicole a passo ridotto).
Aveva anche aperto le sue porte, la sera del 24 agosto 1893, per un Gran Festival, promosso dalla stessa Società filarmonica «Ranscett» e allestito «A totale beneficio delle famiglie degli operai italiani morti e feriti ad Aigues Mortes».
Tra il 16 e il 17 agosto, era scoppiata una rissa tra i lavoratori francesi e quelli italiani, assoldati dai “caporali” locali per raccogliere il sale dalle vasche di evaporazione dell’acqua marina. Gli immigrati italiani (ritals, briseurs o macaronis, come venivano chiamati) non erano ben visti in Francia, soprattutto da quando i rapporti tra i due paesi si erano incrinati a partire dal 1881 e l’Italia si era avvicinata all’Austria e alla Germania firmando e rinnovando una Triplice alleanza. Ma nel pieno della crisi economica che interessava l’Europa in quegli anni, gli italiani furono visti come coloro i quali “rubavano il lavoro” agli operai francesi. Il malessere alimentò proteste e insulti, che presto diedero vita ad una violenta rissa tra disperati. Tra la popolazione locale iniziò a diffondersi la falsa notizia di francesi uccisi da italiani. Spuntarono così coltelli, forche, bastoni e qualche arma da fuoco. I gendarmi non riuscirono a mantenere l’ordine e la rabbia ed il rancore dei francesi si tradussero in una vera caccia all’uomo. Anzi: una caccia all’italiano. Non si è mai saputo con precisione il numero delle vittime. Il giornale francese «Temps» riportava la cifra, il 18 agosto, di 30 morti e 150 feriti.
La notizia dei massacri di Aigues Mortes fece il giro del mondo. In Italia, il governo convocò l’ambasciatore francese per una protesta formale, mentre manifestazioni spontanee antifrancesi (e spesso violente) riempivano le città grandi e piccole. La «Cronaca Prealpina», il 20 agosto, propose la seguente ricostruzione dei fatti:
«[…] La caccia durò il mercoledì ed il giovedì [16 e 17]. Centocinquanta, sorpresi sul lavoro ed assediati in una capanna, furono forzati a rientrare in città; durante il tragitto furono feriti e gittati in canale dove 20 o 30 morirono, i più, sbandatisi, furono inseguiti per le campagne; 40 soli si ridussero in città, sempre accompagnati da una folla ubbriaca. Furono chiusi in un torrione e quivi assediati. Altri 150 che si trovavano in città furono del pari assaliti. Dei fuggenti 38 si rinchiusero in una bottega da fornaio ove furono tenuti assediati trenta ore. […] Sulle mura della città si leggeva: Morte agli italiani. Facciamone salsicce.»
Anche a Varese, territorio da cui tradizionalmente si emigrava, la gente si radunò per protestare. Il 21 agosto, un centinaio di dimostranti, preceduti da ragazzi con torce e bandiere, attraversarono il Corso, gridando «Viva l’Italia!» e «Morte agli assassini!». Alcuni entrarono negli alberghi e nei caffè per rimuovere le scritte francesi; altri, in piazza Podestà, diedero fuoco ad alcune copie del «Petit Journal». Le donne della buona società varesina si mobilitarono e annunciarono che non avrebbero più utilizzato prodotti di bellezza fabbricati in Francia. Tutto poi ebbe fine con il Gran Festival del Politeama.
Anche l’eco di questa storia lontana risuona tra le pareti di quel luogo. E chissà che un giorno il Politeama, le cui porte sono state chiuse nel 2008, non ritorni ad essere ciò che è stato: uno spazio per l’intrattenimento, per la crescita culturale, per il dibattito pubblico, per lo svago leggero o per l’iniziativa benefica. Un luogo, insomma, che possa ancora svolgere una funzione sociale.
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