Lo chiamano Ramellino. Ernestino Ramella, centravanti di un piacevolissimo Varese, dal dribbling facile a superare e a lasciare sul posto i difensori avversari per andare ad appoggiare la palla in rete senza neanche lasciare il tempo agli altri di capire da dove il suo bianco-rosso fosse sbucato. A fine carriera alcuni passaggi anche all’estero per poi tornare nella sua città.
L’ho incontrato in questi giorni con notevole difficoltà a riconoscere quella specie di semi-gigante che mi si para davanti per un simpaticissimo saluto ai tempi andati, molto spesso elogiando anche i suoi guizzi in area.
E invece, nell’occasione viene, come quasi d’obbligo, parlare di questo povero Varese dei nostri giorni che alle tante soddisfazioni del passato mai si pensava potesse lasciare posto all’attuale tristezza. Una totale dissolvenza solo, dunque, tristezza e rammarico venendo anche al ricordo – senza toccare i temi gloriosi – quella formazione di giovani che Sandro Vitali e Guido Borghi portarono direttamente dalle formazioni minori per passare alla prima squadra.
È bello e doveroso ricordarne i nomi e i passaggi di massima categoria: Gentile (Juve) Cresci e Massimelli (Bologna) Gorin e Calloni (Milan), Marini e Libera (Inter), situazione dovuta anche alla serietà del sodalizio che poté effettuare il lancio.
Lasciando da parte il calcio conviene, allora, rivolgersi a orecchie tese verso il Palazzetto dove la vita continua, continuano le voci, continuano i fatti. Senza pretese di tornare a un passato fantascientifico si lavora sorretti dalla voglia di costruire e di continuare a sorreggere una squadra sulla strada di un passato ineguagliabile almeno in quello che si possa fare. Si chiama – anche nello sport – dignità.
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