Harari accenna alle controrivolte di genere che alimentano un aspetto del populismo spesso inosservato. Abili calcolatori nel trarre vantaggio dai rivoli carsici che fluiscono nelle viscere infette di una società frantumata, i populisti più estremi amano esternare, magari brandendo un rosario, lo spirito illiberale che alberga nelle periferie subculturali, nei residui patriarcali, nel sessismo, nell’omofobia, nella negazione dei diritti delle donne, nelle sacche di persistenza dell’integralismo cattolico e nel conflitto di potere sui corpi. Vediamo alcuni esempi saliti all’onore – si fa per dire – delle cronache.
Per esibire il suo consenziente servaggio al potere maschile, in Spagna un’attivista di Vox ha chiesto al marito il preventivo consenso per candidarsi. In Italia la riapertura dei bordelli stuzzica i rimpianti per i bei tempi andati, quando il corpo femminile era sottomesso ai furori ormonali maschili in luoghi protetti alla vista. Alcuni più scafati riversano i loro inconfessabili e ossessivi rancori privati contro Laura Boldrini perché (sbagliando) impone a una lingua che non usa i neutri la forzata sessuazione nei sostantivi; la frontiera tra incultura e acculturazione, come si vede, non si sovrappone a quella tra populisti e liberali. Infine, una singolare miscela di fondamentalisti e di atei devoti osteggia non solo l’aborto – uno spartiacque tra pluralismo e integralismo che i liberali cattolici dovrebbero apprezzare –, ma anche quel diritto, sadicamente negato a Luana Englaro, di morire con dignità per non infliggere altre sofferenze a una sussistenza vegetativa e artificiale.
La versione più muscolare e maschilista del populismo esprime lo strisciante revanchismo per le perdite di posizioni di potere e di opportunità che hanno accompagnato un secolo di emancipazione e liberazione femminile. In un mondo povero di opportunità molti maschi rimpiangono i miserevoli, ma rassicuranti privilegi di genere. Il machismo dei capi populisti incontra meno resistenze anche perché molte donne, non necessariamente occupate in ruoli subordinati, si sentono rassicurate se seguono il solco di un impianto relazionale di tipo tradizionale che pretende da loro un grado minore di autonomia e di responsabilità. Il desiderio di ripristinare un confine preventivo in territori invisibili è in ultima analisi lo stesso che alimenta la xenofobia e l’odio per i migranti. L’insicurezza è penetrata nell’intimità di ciascuno e si è trasformata in psicosi. Il risentimento di genere trova un terreno permeabile: non pretende di restaurare la disparità di genere, ma nemmeno si accontenta di consumare vendette simboliche.
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In conclusione, anche se affrontassimo adeguatamente le istanze dei populismi, anche se restituissimo credibilità e appetibilità ai valori democratici nel qui e ora in contrasto ai fautori delle democrazie illiberali, anche se riuscissimo a rimotivare i rassegnati, i delusi e gli stizziti, resteremmo pur sempre a metà dell’opera.
Il tempo a nostra disposizione si accorcia proprio mentre ci mancano strumenti politici e culturali all’altezza della sfida. Insistere su modelli e pratiche di stili di vita, di consumo e di deficit cognitivo e culturale ormai omogenee e conformate in ogni angolo del pianeta, ricco o povero o emergente che sia, è suicida. Il populismo, a questo livello, sarà un acceleratore del suicidio ma non ne sarà la causa. Sull’orlo di un abisso ben peggiore dei populismi, dovremo affrontare, qui e tra poco, gli effetti di un mondo fuori controllo. Purtroppo tanto noi quanto loro evitiamo un adeguato dibattito pubblico sulle priorità additate da Harari.
Solo una sensibilità diffusa suscitata dalle intelligenze più avvertite e ragionevoli può imporre all’agenda politica, in ordine di priorità: l’estensione delle istituzioni sovranazionali; il bando agli armamenti; la tutela degli ecosistemi; il ripristino ambientale; il rapporto tra bomba demografica e scarsità delle risorse; il potere sulla vita biologica; la lotta alla diseguaglianza; i problemi dell’automazione e in genere del futuro del lavoro; la difesa e l’estensione dei diritti sociali e civili; i limiti dell’informazione digitale; i flussi migratori.
Ma come potranno farsi ascoltare queste intelligenze? Nessuno rimpiange la militanza pretesca degli intellettuali ai tempi di Sartre. Ma il populismo che sbeffeggia le élites e la cultura è criminoso. Lino Banfi è un oltraggio pornografico al comune senso del pudore. La forbice tra chi dispone del sapere e chi non ne dispone (o ne ha ricevuto uno di sempre più scadente qualità) si allarga: chi sa sfruttare i sentimenti di moltitudini socialmente informi, destrutturate sul piano produttivo, politicamente disorganizzate e culturalmente disorientate, dispone al momento di un grande vantaggio.
Qualunque azione politica che riduca la disgregazione del lavoro e l’iniquità diffusa innescherebbe delle possibilità di rimonta. Specie ora che, per limitarci all’Italia, dobbiamo prevenire dei rischi letali causati dal crescere del debito pubblico, da nuovi sprechi, dalla depressione economica, dal caos fiscale, dalla caduta dell’equità e della qualità dei servizi sociali, a partire dalla sanità, e dalla spinta inflattiva che penalizzerebbe i salari, le pensioni e i risparmi.
La demagogia alla prova dei fatti fallisce, indipendentemente dai consensi che raccoglie, che ovviamente precedono i danni. Prima di lasciarci precipitare nell’abisso, diamoci una mossa. Qualche segnale si intravede. Non lasciamolo spegnere.
(fine diciottesima puntata – Le precedenti sono state pubblicate sui numeri del 09.03.19 del 16.03.19 del 23.03.19del 30.03.19 del 06/04/19 del 13.04.19 del 20.04.19, del 04.05.19, dell’11.05.19, del 18.05.19, del 25.05.19, dell’ 1.06.19, del 08.06.19, del 15.06.19, del 06.07.19 e del 13.07.19).
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