Quando ho letto che in una scuola del padovano per iscriversi bisogna compilare un modulo nel quale è chiesto di specificare la propria etnia, ovvero se sei sinti, rom, nomade o camminante, mi si è materializzata l’immagine della carta di identità dei 30.000 italiani che nell’Italia degli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso portava la scritta “di razza ebraica”.
Forse esagero.
Premetto che a mio parere nessun modulo, ancorché si tratti di un foglio prestampato all’apparenza neutro, è di per sé “innocente”.
Mi ricordo che quando non esisteva l’obbligo della trasparenza amministrativa la formazione delle classi era soggetta alle insindacabili decisioni del direttore o del preside.
Allora un indirizzo di casa o un cognome importante potevano fungere da indicatore per la destinazione dei bambini in un gruppo scelto di scolari.
La composizione delle classi poteva essere ricondotta a una sottintesa sezione/serie A, guidata dai migliori, o ritenuti tali, maestri, con bambini di famiglie di una certa provenienza sociale; a discapito delle altre sezioni, della serie successiva, che venivano spesso affidate ai precari o ai docenti ultimi arrivati.
La domanda preliminare attiene alla funzione: perché una scuola necessita del dato relativo all’etnia, sempre ammesso ma non concesso che esista ancora, antropologicamente parlando, tale concetto?
Le risposte del dirigente scolastico dell’istituto nell’occhio del ciclone denotano più una massiccia dose di ingenuità, dote non propriamente professionale, che una paludata malafede: il modulo esiste da dieci anni, “va avanti in automatico”; il dato richiesto, cioè l’appartenenza etnica, serve solo ai fini dell’integrazione; ma se poi il modulo presenta profili di illegittimità verrà cambiato, sicuramente.
Il mio pensiero non è supportato da dati oggettivi ma temo che le informazioni raccolte possano servire a “costruire” classi omogenee frequentate quasi esclusivamente da bambini “rom o sinti o camminanti”; le rimanenti sezioni si possono quindi comporre con bambini in prevalenza “italiani”.
Risultato: ci saranno gruppi classe privilegiati nei quali il percorso scolastico non sarà disturbato o rallentato dalla presenza di bambini portatori di particolari bisogni.
Possiamo ammetterlo, noi che siamo stati o siamo insegnanti. Il nostro sogno segreto è sempre stato quello di poter avere in carico una classe “meravigliosa”, frequentata da studenti dotati di buone qualità intellettive, culturali, comportamentali, con cui si possa svolgere accuratamente tutto il programma, e non solo, sostenuti dalla collaborazione di famiglie attente e a-problematiche. In questo sogno avremmo potuto esprimere al meglio e al massimo le nostre abilità didattiche, disciplinari, culturali.
La realtà è diversa, naturalmente.
Ogni classe è uno spaccato del mondo che si agita fuori dalle mura della scuola e se non ci attrezziamo ad accogliere la differenza, saremo destinati a scontrarci ogni giorno con una nuova ingiustizia.
Per fortuna alcune famiglie della comunità padovana si sono ribellate alle richieste contenute nel modulo. A denunciarne l’illegittimità sono stati una mamma e un papà appartenenti a una delle “etnie” descritte. Chiedono l’anonimato per paura di ritorsioni; perché, affermano, “con l’aria che tira in Italia in questo momento” chissà che cosa potrebbe succedere in futuro ai loro figli “schedati” sin dal primo giorno di scuola.
Peccato che nei dieci anni di circolazione del modulo incriminato, non ci sia stato un genitore, uno solo, però “italiano”, cioè un utente non discriminato, che compilando il questionario per il proprio bambino “italiano”, si sia allarmato per l’anomalia della richiesta e abbia deciso di segnalare a chi di dovere la presenza di una palese violazione della privacy.
Solo l’intervento dei legali di un partito politico, chiamato a intervenire sulla vicenda, ha portato al ritiro del modulo in quanto strutturato in palese contraddizione “con la Costituzione, con la legge Mancino e con le normative europee che vietano qualsiasi censimento”.
L’Ufficio Scolastico Regionale del Veneto ne ha sollecitato il ritiro per palese illegittimità dato che lo stesso Ministero dell’Istruzione da tre anni non richiede più alle scuole dati sulla nazionalità per rispetto della legge sulla privacy.
La lezione che ne traggo è che se vogliamo restare umani, abbiamo ancora molto da vigilare, a scuola come fuori dalla scuola.
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